di Francesco Lucrezi


Ormai, in questo precipizio rapidissimo verso l’abiezione più assoluta, niente riesce più a stupire. L’ultima è che ben 44 parlamentari (sì, lo stesso numero dei “44 gatti” della famosa canzone) di un partito italiano che, nella sua sigla, esibisce in bella mostra l’aggettivo “democratico”, ha proposto di non partecipare a eventi sportivi che vedano coinvolto un certo Paese. Gli atleti che indossano una certa maglia sono dei mostri, degli appestati, degli untori, e intorno ad essi deve essere alzato un cordone sanitario.

I cittadini di quel Paese lebbroso non devono potere vedere le loro squadre gareggiare, a nessun livello. Sono anch’essi dei reietti, dei paria, degli esseri abietti.
Non è certo la prima volta, nella storia, che si assiste a qualcosa di simile. Il paragone con le leggi razziali degli anni ’30, in Italia e Germania, è fin troppo facile. La differenza è che i regimi che misero in atto quelle misure non avevano nessun pudore a dichiararsi per quello che erano, ossia razzisti. Escludevano alcune categorie di persone dalle competizioni sportive in nome della loro inferiorità razziale, per non contaminare gli individui ‘puri’, che sarebbero stati altrimenti infettati.
Non si definivano certo democratici, non cercavano di abbindolare la gente dicendo che agivano per
motivi etici, per promuovere nobili cause utilitarie. Erano sinceri, schietti coerenti. Oggi, invece, le identiche posizioni – identiche – vengono prese in nome di una presunta giustizia, come gesto di solidarietà, di responsabilità, di denuncia. Certo, come no. E lascia sconcertati la diffusa indifferenza – con qualche rara, coraggiosa eccezione – nei confronti di iniziative che dovrebbero fare solo rabbrividire. Non è il caso, di fronte a questo obbrobrio, di difendere quel Paese ripugnate, di trovare qualche
argomento a sua difesa, del tipo: non è l’unico cattivo sulla scena, ce ne sono di peggiori, in fin dei conti anch’esso ha subito dei torti, è stato aggredito, è giusto criticarlo, ma, insomma, questo è un po’ troppo, eccetera eccetera. Rispondere in qualcuno di questi modi suona del tutto sbagliato, perché darebbe l’impressione che con i 44 e quelli che la pensano come loro sia possibile e utile intrecciare una qualche forma di dialogo, di ragionamento.

Ma nessun dialogo è possibile con chi ha effettuato una scelta di campo così inesorabilmente esplicita. Sarebbe una sorta di implicita comprensione, relativizzazione, come a dire: avrete anche qualche ragione, però… No, mai, niente del genere. La risposta non può essere altra che il più assoluto disprezzo. Non a queste persone, ma a coloro che sembrano non capire la realtà, si dovrebbe invece spiegare una cosa. Chi dice che gesti come questi siano una conseguenza di quanto sta o starebbe facendo quel Paese, compie un totale errore di valutazione, invertendo completamente il rapporto causa-effetto.
Per giudicare correttamente il nesso eziologico, infatti, bisogna partire proprio da una valutazione del significato di gesti come quello dei quarantaquattro gatti. Cosa indica questo gesto? Come devono essere giudicate queste persone sul piano morale?
La risposta dovrebbe essere semplicissima, c’è ben poco da dire, da interpretare, da commentare. E allora, se loro sono quello che sono, perché mai bisognerebbe pretendere che le loro categorie morali siano uguali alle nostre? Come potrebbe essere possibile che noi apprezziamo le stesse cose che apprezzano loro, e condanniamo quelle che loro condannano? Sarebbe assurdo.
Non arrivo a dire, portando questo ragionamento alle estreme conseguenze, che tutto quello che fa il Paese lebbroso, se a loro ripugna, a noi deve piacere, No, questo no. Ma un’altra cosa si può e si
deve dire. A colpire il Paese lebbroso, quasi due anni fa, e scatenarne la reazione, è stata
un’eruzione, particolarmente clamorosa e virulenta, di un fiume carsico che scorre impetuoso da
duemila anni, e che fornisce alimento a innumerevoli macabre sceneggiate, tutte diverse e tutte uguali. Tra cui quella dei quarantaquattro gatti. I quali dicono di agire in risposta a quella reazione,
ignorando, o facendo finta di ignorare, il nero fiume di inchiostro maleodorante.
Un trucco antico, che funziona sempre.

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