di Giuseppe Crimaldi*
Guardare avanti senza voltarsi indietro non è facile. Ma è necessario. Nel formulare gli auguri di un buon anno nuovo a tutti i lettori che seguono le nostre pagine e ci sostengono in un momento molto difficile per chi prova a ristabilire una parola di verità su Israele, eviterò la solita sfilza di luoghi comuni (che sia un anno di pace… serenità al mondo intero… eccetera) e sarò invece molto più crudo e realistico.
Pace: ma che cosa significa pace? Come si può pensare di aspirare ad una situazione caratterizzata dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale tra gli Stati e garantita dal rispetto dell’interdipendenza nei rapporti internazionali? Viviamo ormai da anni in un caos che genera esattamente il contrario di quel che “pace” porta. E ricordiamoci che per farla, la pace, bisogna essere almeno in due.
La guerra di Gaza ha portato indicibili sofferenze al popolo palestinese. E i responsabili sono quelli di Hamas, i demoni che il 7 ottobre hanno scatenato l’orrore uscendo dal buio dei loro tunnel per aggredire, uccidere, violentare e mutilare – in una chiara giornata di sole d’autunno – inermi civili che non avevano alcuna colpa, ma che in quanto ebrei ed israeliani erano facili obiettivi da colpire. Hamas non è stato solo il loro carnefice, perché le prime sue vittime sono proprio i civili palestinesi: eternamente rifiutati dall’intero mondo arabo, a cominciare dall’Egitto che li deportò nella Striscia ormai molte decine di anni fa, instillando così le cellule maligne di un cancro che ha prodotto solo metastasi.
Posso dire per certo, invece, che gli israeliani altro non chiedono se non di vivere in pace. Nella certezza di non esser più costretti a svegliarsi la mattina temendo che possa essere l’ultima, di prendere un autobus senza pensare che alla fermata un terrorista palestinese gli spari contro o li falci con un’auto, di sedersi ai tavolini di un caffè senza doversi guardare intorno e tremare per un attentato dinamitardo. Gli israeliani hanno fatto della loro esistenza un quotidiano inno alla vita proprio perché sono costretti a pensare ogni giorno alla morte.
Pace. Ma quale pace è mai possibile fino a quando – solo a poche migliaia di chilometri da Gerusalemme – c’è chi dà una ragione alla propria esistenza nell’ossessione di dover cancellare Israele dalla carta geografica? Quale pace è mai immaginabile con il medioevo nero degli ayatollah iraniani?
E allora che il 2026 sia sì l’anno della pace, ma di una pace giusta. E una pace giusta resterà una pura chimera fino a quando non si neutralizzeranno le forze del male, che non è solo l’Iran ed anzi sono tante: l’odio, il pregiudizio, le campagne mediatiche infami, il disprezzo per l’ebreo a prescindere da quale angolo del mondo egli viva. Spezzare questo asse significa creare le condizioni per un mondo migliore.
Auguri a tutti
(Presidente nazionale della Federazione Italia-Israele)
