di Giuseppe Crimaldi

E sì che servirebbe proprio uno strizzacervelli (ma di quelli bravi davvero) per analizzare le personalità sconnesse di quelli che ieri, marciando in varie città italiane al Gay Pride, sventolavano la bandiera palestinese inneggiando allo slogan “Dal fiume al mare”. Perché tre sono i casi: o costoro sono semplicemente dei disturbati mentali per di più ignoranti, privi di qualunque minima conoscenza della storia; o sono ossessivi compulsivi; oppure – ed è il caso più preoccupante – sono bipolari con l’aggravante della tricotillimania.

Personalmente credo che, di base, la maggioranza di chi sbandiera al Pride la propria vicinanza al popolo palestinese ignora o finge di non conoscere ciò che la religione islamica considera l’omosessualità: un peccato da punire con la morte. L’interpretazione del Corano non consente mezzi termini: ed anzi il concetto stesso di orientamento sessuale è inammissibile nell’Islam, in quanto trasgressione dalla connessione spirituale che lega tutti e tutto nell’universo. E qui veniamo a Gaza, dove l’organizzazione terroristica Hamas ha imposto una rigorosa applicazione della legge islamica, che condanna l’omosessualità, rendendo estremamente pericolosa la vita per le persone LGBTIQ+ in Palestina.
Secondo l’Equal Dex, nella classifica LGBTIQ+ World Equality la Palestina occupa il 190° posto su 197 nel mondo, e soltanto il 5% dei Palestinesi della Cisgiordania ritiene che la società dovrebbe tollerare l’omosessualità. Si tratta del numero più basso nel mondo arabo.
Allora questi ignoranti sbandieratori propal si informino meglio sui dati forniti non certo da un’associazione occidentale, filoamericana o “sionista”, no: perché è il Centro Palestinese per i Diritti Umani ad avere diffuso il dato che, soltanto nel 2022 i “tribunali” di Gaza hanno emesso 27 nuove condanne a morte per omosessualità.

(Frustate islamiche per una condanna di reati sessuali “impropri” Foto EPA/HOTLI SIMANJUNTAK)

C’è poi tra i prodigiosi manifestanti del Pride la seconda categoria: quella degli odiatori di Israele. Sono affetti da sindrome ossessiva compulsiva che li libera da ogni pregiudizio verso i torturatori di Hamas purché Israele bruci e venga ridotta in cenere. Anche costoro ignorano – ma nella maggioranza dei casi fingono di ignorare – la disperazione di lesbiche e omosessuali che hanno la sfortuna di nascere a Gaza o in Cisgiordania, e che tutti loro sognano una nuova vita, e per questo chiedono asilo in Israele. Come ha scritto bene Alessandro Ricci sul “Riformista”, una certa sinistra, soprattutto in Italia così attenta a rivendicare i diritti Lgbt+, sembra essersi dimenticata di un dettaglio tutt’altro che irrilevante: in Israele queste battaglie non sono solo slogan, ma diritti concreti. È di pochi mesi fa la sentenza di un tribunale di Tel Aviv che ha riconosciuto il diritto d’asilo a palestinesi omosessuali in fuga da territori dove rischiavano la vita. Mentre Israele offre rifugio a chi fugge dalle persecuzioni, in Europa si discute se bandire la sua bandiera dai cortei del Pride. Eppure gli ossessivi compulsivi del Pride questo se lo dimenticano: in loro l’odio per gli israeliani è più forte di ogni desiderio di obiettività.

Infine al Pride hanno sfilato i più matti di tutta questa categoria: i bipolari che si strappano i capelli, i pasionari e le pasionarie del diritto alla vita dei poveri palestinesi che muoiono per colpa di quei cattivoni degli israeliani infami. Questa categoria richiederebbe un ricovero immediato, o quanto meno un trattamento sanitario obbligatorio. E a loro auguriamo, il prossimo anno, di andarselo a fare a gaza o a Ramallah – o, perché no, a Teheran, a Sanaa, ad Algeri piuttosto che in Iran o in Pakistan e Afghanistan – il loro Pride. Auguro a tutti loro un piacevole viaggio. Le famiglie si occuperanno dei funerali. La bara sarà a loro carico.

3 thoughts on “La sindrome di Stoccolma sfila al Gay Pride

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