
di Francesca Musacchio, Direttore di OFCS REPORT – Osservatorio Focus per la Cultura della Sicurezza.
Intervento al Convegno Perchè ancora? Antisemitismi vecchi e nuovi a ottant’anni dalla liberazione del campo di Auschwitz. tenuto l’8 maggio 2025 a Roma presso la Camera dei Deputati, Palazzo “Theodoli-Banchelli” Sala Giacomo Matteotti.
Parlare di antisemitismo a ottant’anni dalla liberazione del campo di Auschwitz non è solo un esercizio di memoria. È, soprattutto, un atto di responsabilità verso il presente. Perché se l’antisemitismo storico ha indossato l’uniforme nazista e si è espresso con le leggi razziali, le deportazioni e lo sterminio, oggi esso si manifesta in forme nuove, forse più ambigue o meno riconoscibili, ma altrettanto pericolose.
Vorrei soffermarmi su due di queste nuove declinazioni, spesso trascurate o minimizzate:
- L’antisemitismo ideologico, “di sinistra”, che si maschera da antisionismo.
- L’antisemitismo islamista, che strumentalizza la causa palestinese per diffondere odio contro gli ebrei ed Israele.
Antisionismo ideologico e antisemitismo di sinistra
Partiamo da una premessa fondamentale: criticare lo Stato di Israele non è antisemitismo. Ogni governo, ogni nazione è legittimamente soggetta a critiche politiche, anche severe. Ma quando la critica cessa di essere razionale e diventa ossessione, demonizzazione, negazione del diritto stesso all’esistenza di Israele, allora ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso.
Nella mia esperienza da giornalista e osservatore, ho potuto notare che questa forma di antisemitismo è spesso presente in ambienti progressisti, nei circuiti dell’attivismo sociale, in università e movimenti che si proclamano difensori dei diritti umani. Paradossalmente, nel nome della giustizia, si finisce per applicare agli ebrei e allo Stato ebraico uno standard che non si applica a nessun altro.
Per esempio:
- Si parla di “apartheid israeliana” senza considerare che Israele è una democrazia parlamentare dove arabi israeliani siedono in parlamento, insegnano nelle università e lavorano nelle istituzioni.
- Si paragona Israele al Terzo Reich, accostando la stella di David alla svastica. Questo non è solo storicamente assurdo: è una forma di negazione implicita della Shoah.
- Si invocano boicottaggi culturali, accademici ed economici (il movimento BDS ne è l’esempio più noto), creando una linea di esclusione globale che punisce solo Israele, ignorando regimi realmente oppressivi in altre parti del mondo.
Ma soprattutto, si mette in discussione l’intera legittimità del progetto sionista. E qui tocchiamo il cuore del problema. Il sionismo non è un’ideologia coloniale, come spesso viene descritto, ma il movimento nazionale del popolo ebraico, nato ben prima della Shoah. Negare il diritto degli ebrei ad avere un proprio Stato significa, in sostanza, negare loro ciò che è riconosciuto a ogni altro popolo. Questo è antisemitismo.

L’antisemitismo islamista e la questione palestinese
La seconda forma che vorrei affrontare è quella dell’antisemitismo di matrice islamista, che ha conosciuto una pericolosa diffusione a livello globale, specialmente dopo l’11 settembre e con il diffondersi e rafforzarsi di movimenti jihadisti.
Qui l’antisemitismo non si maschera: è esplicito, teologico, quasi totalizzante. Gruppi come Hamas, Hezbollah, e la Jihad Islamica non chiedono una soluzione giusta per i palestinesi, chiedono la cancellazione dello Stato di Israele dalla carta geografica, e spesso, nei loro testi fondativi e nella loro propaganda, auspicano l’eliminazione fisica degli ebrei.
Nel Patto fondativo di Hamas, per esempio, si legge: “Il giudizio non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno gli ebrei e li uccideranno”. Questo non è un programma politico: è un progetto genocidario. Ma oggi ad essere accusato di genocidio é Israele.
In altri gruppi minori di stampo laico e per lo più attestati su varie forme di socialismo rivoluzionario (Fronte popolare di liberazione della palestina, Fronte democratico per la liberazione della palestina, gruppo Abu Nidal e sue diramazioni), il trait d’union rimane sempre e comunque la conquista di Israele e la “pulizia etnica” degli ebrei, sistematicamente posta in atto già con il triste prologo del 7 ottobre 2023.
L’uso strumentale della causa palestinese da parte di questi gruppi, dunque, ha trasformato un conflitto territoriale, che forse avrebbe potuto essere risolto con il dialogo, in una guerra ideologica e religiosa. E questo ha conseguenze globali.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita inquietante di attacchi antisemiti in Europa e nel mondo: sinagoghe date alle fiamme, persone aggredite per strada perché indossanti la kippah, insulti e minacce agli ebrei online dopo ogni escalation tra Israele e Gaza (e non solo).
Tutto ciò non parte da una critica politica ma da un’immagine demonizzata e disumanizzante dell’ebreo, presentato come nemico assoluto.
Anche nei contesti europei, parte della gioventù islamica radicalizzata ha adottato queste narrazioni, trovando nel conflitto israelo-palestinese un pretesto per esprimere un antisemitismo interiorizzato, trasmesso attraverso media, predicatori, reti sociali. In molti casi, questa forma di odio si alimenta anche grazie alla passività delle istituzioni, che non intervengono con decisione per evitare accuse di islamofobia.
C’è, infine, un rischio ancora più grande: che queste due forme di antisemitismo (l’ideologico di sinistra e l’islamista radicale) finiscano per allearsi tacitamente, trovando un terreno comune nella negazione della legittimità di Israele. Così, l’università occidentale e la predicazione fondamentalista finiscono per parlare lo stesso linguaggio dell’odio, pur venendo da mondi apparentemente opposti.
A ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz, dunque, dobbiamo affermarlo con forza: l’antisemitismo è vivo, è in trasformazione e non ha un solo volto. Non è più solo quello dell’uomo col braccio teso, ma può essere quello dello studente col megafono, del predicatore su TikTok, del professore universitario che parla di “genocidio sionista”.
È nostro dovere riconoscere queste mutazioni, denunciarle senza ambiguità e agire. Difendere Israele non significa approvare ogni sua politica. Significa riconoscere che il popolo ebraico ha diritto alla vita, alla sicurezza e alla sovranità. Condannare l’antisemitismo islamista non è islamofobia: è una forma di difesa dei valori democratici e civili. Se la memoria della Shoah deve avere un senso oggi, esso consiste in questo: non restare in silenzio davanti all’odio, ovunque e comunque si presenti.