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Pesach, il rito e la tavola: due ricette tradizionali

di Francesca Filaferro Linda

Pesach (pron. Pèssach) è la maggiore festività ebraica; inizia il 14 del mese di
Nissan, dura otto giorni (sette nel solo Israele) e ricorda la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e il
suo esodo verso la Terra Promessa.
Si celebra questa festa in adempienza a quanto prescritto in Numeri 28,16 e in Esodo 12,17-20.
I due principali comandamenti legati alla festa di Pessach sono: cibarsi di matzah  (pane non lievitato, ovvero pane azzimo) e la proibizione di nutrirsi di qualsiasi cibo, chiamato chametz, contenente lievito durante l’intero periodo della festività. Circa le spiegazioni che sono state date al cibarsi di pane azzimo, la più accreditata è che si tratti di un ricordo del pane di cui gli Israeliti si cibarono durante l’Esodo poiché nella concitazione della fuga dall’Egitto non ebbero il tempo di far lievitare il pane.
Pertanto, prima dell’inizio della festività gli ebrei eliminano da casa ogni minima traccia di lievito e qualsiasi cibo che lo contenga. Questa tradizione viene chiamata “bedikat chametz“.
Le prescrizioni rituali hanno poi dato origine a una cena particolare, chiamata Sèder, celebrata nelle prime
due sere della festa. Essa si definisce Sèder (parola che in ebraico significa Ordine) poiché si usa
consumare questa cena seguendo un ordine particolare di cibi e preghiere. Il quale ordine è stato codificato nel 3° secolo E.V. ed è quindi cerimonia antichissima che prevede la lettura di un testo, scritto parzialmente in aramaico e fornito a ciascun commensale chiamato Haggadah (Racconto).

In esso si narra l’intera storia del conflitto con il faraone, delle  dieci piaghe, della fuga finale arrivando infine, attraverso lodi, benedizioni e canti di ringraziamento alla celebre frase conclusiva: “L’anno prossimo a Gerusalemme!”
La celebrazione è ricca di elementi simbolici, di gesti visibili ed elementi necessari soprattutto perché i
bambini possano osservare ed apprendere, ma è compito di chi presiede il banchetto far notare che il testo sottolinea ripetutamente il coinvolgimento, anche emotivo, generazione dopo generazione, di ciascuno dei partecipanti al Seder.
E’ compito di chi presiede il Seder e guida la lettura, far notare che la parola Pesach , tradotta correttamente dal mondo anglosassone con Passover, significa “passare oltre” e può essere riferita al celebre attraversamento del Mar Rosso grazie all’intervento divino “con mano possente e braccio disteso “, ma anche, in termini più simbolici e personali , al passaggio da una condizione di schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce , dall’angoscia alla serenità.


La Haggadah ripetutamente sollecita ed elogia la discussione, il porre delle domande tant’è che inizia con la domanda di un bambino sul significato del Seder: gli si risponde, si narrano gli eventi relativi all’uscita
dall’Egitto, si analizzano i diversi tipi di ebrei: il figlio saggio rappresenta l’ebreo osservante. Il figlio malvagio è invece l’ebreo che rifiuta la sua eredità e la religione ebraica, le sue radici. Il figlio difficile si riconosce nell’ebreo indifferente, il troppo giovane o sempliciotto non conosce la propria cultura e tradizione “a sufficienza” per poter prendere parte alla discussione e a suo pro si prosegue la lettura e la spiegazione.
Oltre alla Haggadah, l’altro elemento caratterizzante del Seder è il piatto, o cesto, che contiene sei cibi
simbolici:
tre Matzot per ricordare la concitata e precipitosa fuga dall’Egitto. Attorno, nell’ordine, vi sono
il karpas, solitamente un gambo di sedano, che ricorda la corrispondenza della festività di Pesach con la
primavera; il maror o erbe amare, che rappresentano la durezza della schiavitù, dell’acqua salata a ricordare le lacrime “che noi versammo quando eravamo schiavi del Faraone”; una zampa arrostita di capretto chiamata zeru’a: rappresenta l’agnello pasquale che gli ebrei sacrificarono nella notte della morte dei primogeniti egiziani; un uovo sodo, beitza, in ricordo del lutto per la distruzione del Tempio; infine una sorta di marmellata chiamata “Charoset” che rappresenta la malta usata dagli ebrei durante la schiavitù per la costruzione delle città di Pit’om e Ramses.
Nel corso del seder vi è obbligo di bere quattro bicchieri di vino, soprattutto nel  Minhag  (Rito )italiano
Si riportano ora due ricette tradizionali:


CHAROSET
Fate cuocere due mele sbucciate e private dei semi con un po’ di zucchero. Quando sono cotte e asciutte
frullatele , aggiungendo 4-5 datteri, 6 fichi secchi e 1 pugno di uvette ammollate ( il tutto ben tritato. Unite ora della farina di mandorle q.b. per ottenere un impasto omogeneo . Se troppo consistente, aggiungete del succo d’arancia.
Serve per il Seder, ma grazie alla cottura della mela, si può consumare anche nei giorni successivi ,
spalmato sulle matzot.


KNEIDELACH

Per questo classico della cucina ashkenazita preparate del brodo di pollo. Fatelo raffreddare e sgrassatelo.
Preparate delle polpettine con 100 g. di farina di azzime, 2 uova, noce moscata, pezzettini di salame d’oca, un cucchiaio di farina di mandorle. Mescolate il tutto, usando anche un po’ di brodo. Preparate delle palline piccole e fatele cuocere 15 minuti nel brodo bollente. Servite cospargendo di erba cipollina tritata.

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