di Francesco Lucrezi

Il premier israeliano Netanyahu, probabilmente, è l’uomo politico più criticato, deprecato,
vituperato, odiato del mondo. Molti lo vorrebbero vedere in prigione, molti altri preferirebbero
vederlo morto.
Potrebbe bastare questo, per spirito di contraddizione, a provare per lui qualche forma, non dico di
simpatia, ma di sottile solidarietà? O, almeno, una sorta di cauta sospensione di giudizio? Prima di rispondere a questa domanda, bisogna chiarire che di Netanyahu ce ne sono due, nettamente distinti.
Il primo è una persona fisica vera, reale, che si trova a svolgere un ruolo politico particolarmente importante e delicato. Come ogni essere umano, e soprattutto ogni uomo politico, anch’egli, ovviamente, può (e, in democrazia, deve) essere criticato. Guai se non fosse così. Per quel poco che vale il mio giudizio, già da prima che salisse alla carica di premier (quando era, per esempio, ambasciatore alle Nazioni Unite), molte sue esternazioni mi lasciavano perplesso, anche se ne ammiravo la spiccata personalità e l’indubbia energia. E come non associarlo, poi, alla memoria del suo grande fratello, eroe di guerra, Jonathan?
Poi il mio giudizio è nettamente peggiorato, quando, per esempio, come leader dell’opposizione, eccitava masse inferocite contro il premier Rabin, e poi quando, da premier, mostrò di avere appreso perfettamente dal suo nemico Arafat l’arte di parlare in due lingue diverse, a seconda degli ascoltatori: in inglese per gli americani e gli europei e in ebraico per gli israeliani, dicendo sempre cose completamente diverse (Arafat, ovviamente, alternava l’inglese e l’arabo). Il giudizio è poi precipitato quando, con l’ultimo, orrendo governo, si è alleato con razzisti antisionisti e ha cominciato a smantellare l’impalcatura costituzionale di Israele, picconandone i millenari valori, la natura di stato di diritto, la divisione dei poteri. Ho condannato aspramente, poi, il suo rifiuto di assumersi le enormi responsabilità politiche per il disastro del Sette ottobre, così come la gestione della crisi umanitaria a Gaza (nella pur necessaria operazione militare).
Ma tant’è. Il mio giudizio, come detto, conta poco, è uno tra i tanti. Stiamo parlando, comunque, di
un uomo, niente di più, e gli uomini sono tutti imperfetti, chi più chi meno. Ma c’è un altro Netanyahu, che non è un uomo, ma un fantasma.

È quello il cui volto, su un enorme manifesto affisso nella piazza centrale di Gaza, raffigurato con una smorfia satanica, e con denti aguzzi colanti sangue, faceva da sfondo alle bare dei fratellini Bibas e della loro madre (in realtà poi si scoprì che non era lei), restituite in uno scambio di prigionieri (molti vivi in cambio di pochi morti, come al solito). È quello il cui volto mostruoso viene raffigurato, come “ebreo aberrante”, quasi ogni giorno, sulle vignette del Fatto Quotidiano e di tante altre testaste di analoga levatura. È il Dracula impalatore e vampiro, il Giuda che ha venduto Gesù, il Caifa che ne ha decretato la morte, lo Shylock che vuole la sua libbra di carne, il rabbino che frigge le ostie consacrate o che usa il sangue dei bambini ebrei per fare le azzime, il Dreyfuss traditore, l’avido usuraio, il capitalista affamatore, il comunista senza dio, il puro distillato della razza maledetta.
Questo secondo Netanyahu, ripeto, non è un uomo, non esiste come persona fisica. È la maschera di
un fantasma senza volto (anzi, con migliaia di volti), che esiste da duemila anni. Il primo Netanyahu, quando Dio deciderà, finirà la sua vita terrena. E, come dice l’Antonio di Shakespeare, quando un uomo muore, il male che ha fatto resterà, mentre il bene sarà sepolto con le sue ossa. Ciò varrà, inesorabilmente, anche per lui.
Il secondo, come tutti i fantasmi, morirà solo quando la gente smetterà di crederci, e il giorno sembra ancora molto lontano.
Di quale vogliamo parlare, del primo o del secondo?

One thought on “I due Netanyahu

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