Alla vigilia del Tel Aviv Pride 2025, che si terrà venerdì 13 giugno, una riflessione sul baratro che separa la civiltà occidentale da quella dei paesi islamici. A Gaza gli omosessuali vengono giustiziati sommariamente. Vi spieghiamo come.

(Il Gay Pride a Tel Aviv)

L’evento principale, la parata del Tel Aviv Pride, si svolgerà sul lungomare e continuerà per tutta la notte. La settimana del Pride a Tel Aviv, organizzata annualmente in occasione del mese dell’orgoglio, è un evento importante in cui si celebra la diversità e l’inclusione, con eventi, parate e feste che durano tutta la settimana.

Dalla civiltà al Medioevo. Sono passati più di 800 anni da quando uno dei più celebrati poeti arabi scriveva questi versi:

Il ventre della vergine,
come il deretano del giovine
Un’unica lancia li perfora entrambi.
Ecco il vero jihad,
E quando arriverà il giorno del giudizio,
Avrai la tua ricompensa.

Come ha scritto Paolo Ferrarini: “Abu Nuwas, considerato oggi come allora uno dei maggiori poeti arabi dell’epoca d’oro del califfato islamico, poteva permettersi di celebrare apertamente la sua impenitente passione per il vino e per i bei ragazzi, a testimonianza del fatto che una civiltà al culmine dello splendore non ha bisogno di scagliarsi furiosamente contro le proprie minoranze e rifugiarsi in pruderie moralistiche per sentirsi salda e coesa. E magari può permettersi anche di non prendere troppo sul serio la sua religione. Sconforta che dei giorni di Abu Nuwas sia ormai rimasta solo l’eco lontana di qualche poema libertino, mentre nel Medioriente del XXI secolo le difficoltà non si sono che inasprite per i musulmani che scoprono di provare attrazione per persone dello stesso sesso, che oggi incontrano gravi ostacoli a vivere nel rispetto dei propri istinti e della propria identità, a causa dei multipli livelli di ostracismo religioso, sociale e politico imposti da una cultura pressoché monoliticamente omofobica.

Quando si parla di islam, la premessa cautelare che bisogna sempre obbligatoriamente fare è che non si può e non si deve generalizzare, trattandosi di un universo culturale vastissimo e infinitamente variegato. Tuttavia, il fenomeno contemporaneo dell’omofobia sembra avere delle matrici globali, e analoghe caratteristiche in gran parte del mondo islamico.

Più interessante è probabilmente l’effetto psicologico dell’educazione religiosa che, almeno per quanto riguarda i maschi, costringe a un’interiorizzazione dell’omofobia in forme molto più pesanti e pervasive di quelle che conosciamo in occidente. C’è, infatti, una bella differenza tra il nascere in una cultura come quella “sanpaolina”, dove la castità è considerata una virtù – dov’è quindi eventualmente possibile trovare una legittima opzione di vita nell’astensione (fuga) dall’eterosessualità – e una cultura basata al contrario su testi religiosi che attivamente promuovono, incitano e finanche pretendono, senza scampo, che l’uomo goda sessualmente della donna.

D’altro canto, per l’ignaro turista che arriva in un paese musulmano, la prima impressione è spesso che il paradiso per un omosessuale sia paradossalmente qui sulla terra. L’annullamento delle distanze personali, gli affettuosi scambi di baci tra amici maschi, l’incurante camminare mano nella mano al centro commerciale (atteggiamento impensabile per due persone del sesso opposto non sposate) e i rapporti omosessuali veri e propri che regolarmente avvengono fra le mura domestiche, anche solo come esperienze giovanili o come “compensazione” nell’attesa di avere accesso a una donna con il matrimonio, sono l’altro lato della medaglia dell’indiscussa e indiscutibile imprescindibilità dell’eterosessualità. Il presente, per chi vive in quelle società, è un incubo orwelliano, in cui se da una parte manifestare “morbose” attenzioni per lo stesso sesso a lungo andare può essere bollato come perversione o come una malattia, fare il coming out vero e proprio, ossia assumere ufficialmente un’identità gay, è addirittura eversivo, la rottura di un tabù assoluto che comporta gravi conseguenze non solo per l’individuo, ma spesso per tutta la sua famiglia, in una cultura fortemente influenzata dalla mentalità tribale/beduina, dove la cellula sociale minima non è l’individuo, ma il “clan”, ossia la famiglia estesa. Una donna rischia di non trovare marito, a causa di un fratello dichiaratamente gay (o accusato di essere tale).

Tuttavia, è tecnicamente improprio parlare di omofobia nel mondo islamico, perché nel senso moderno del termine si tratta di un concetto emerso in tempi relativamente recenti, in reazione all’affermazione del diritto all’identità gay.

Un esempio del rifiuto della concezione “occidentalista dei diritti umani” è stata la redazione della Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’islam, che rivede e corregge la carta delle Nazioni Unite e in cui sostanzialmente i diritti dell’uomo sono stati integrati con i diritti di Dio. Cose come la parità dei generi, il consenso della donna al godimento sessuale dell’uomo, la libertà di espressione e il diritto all’identità di genere non sono considerati valori universali, ma espressioni del desiderio dell’occidente di imporre la propria morale, dipinta come dissoluta nella retorica dei politici. Vale anche la pena ricordare che i paesi arabi non si sono mai del tutto ripresi dall’impatto della creazione dello Stato di Israele, uno shock che tuttora rende i governi mediorientali incapaci di uscire da una paralizzante retorica anticolonialista, riflessa anche nell’argomento paranoico (assurdo ma realmente diffuso) che gli omosessuali lavorino come spie al servizio dello Stato ebraico, o che siano espressione di lobby di potere sioniste.

C’è però chi con le leggi non scherza. Otto Paesi islamici prevedono la pena capitale per gli omosessuali, fra cui le nazioni leader rispettivamente del mondo sunnita e sciita, Arabia Saudita e Iran, principali esportatrici nelle regioni loro afferenti dell’attuale ideologia e agenda omofobica. L’Iran notoriamente la applica, in casi documentati; dell’Arabia Saudita non si sa nulla di certo, perché è un Paese quasi completamente chiuso ai media stranieri e alle ONG. Quello che sappiamo è che l’omofobia è uno dei pochi argomenti in grado di appianare le differenze anche tra Paesi storicamente in forte opposizione come l’Arabia Saudita e l’Iran. Basti pensare alla coalizione che sono riusciti a formare nel 2008 per stilare e presentare un testo omofobo all’ONU che contrastasse la dichiarazione firmata da 68 paesi a favore della depenalizzazione universale dell’omosessualità. Testo – quello omofobo di ispirazione islamica – famosamente sottoscritto dal Vaticano, che in quell’occasione si rivelò vergognosamente più fondamentalista della Turchia, Paese che quantomeno si astenne dal supportare l’una o l’altra dichiarazione”. In Iran gli omosessuali continuano ad essere impiccati in pubblica piazza, sotto gli occhi anche di minorenni: il cappio alla gola assicurato ad alte gru, e il lancio nel vuoto.

“Ciò che scoraggia oggi – prosegue Paolo Ferrarini – è che le speranze fugacemente sollevate dalle primavere arabe per una società maggiormente orientata ai valori del laicismo si siano rivelate aspettative per lo più vuote, o almeno tradite. Il regime del generale Sisi in Egitto sembra ripercorrere i passi del decaduto Mubarak, dopo la retata a inizio dicembre 2014 in una sauna frequentata da omosessuali. Emblematico è poi il caso dell’attivista Alaa Al-Jarban, uno dei principali e più rispettati leader della rivoluzione (incompiuta) nello Yemen: nel 2013 ha deciso di annunciare pubblicamente di essere gay sul suo seguito blog, apparentemente il primo yemenita ad avere il fegato di farlo. Il risultato? Ha dovuto chiudere il blog e il profilo Facebook, dopo essere stato subissato di violenti messaggi di odio. Al-Jarban ha dovuto chiedere asilo politico in Canada”.

Ancora peggio l’Iraq, dove l’imposizione dall’alto della democrazia non ha evidentemente portato con sé nessuno dei frutti del progresso civile. Oggi l’Iraq è probabilmente l’ultimo posto in cui vorrebbe trovarsi un omosessuale, data la feroce crociata antiomosessuale sponsorizzata dallo Stato. Si parla di impiccagioni, torture, lapidazioni, violenze, ricatti. La situazione è così grave che gli omosessuali sono costretti a cercare rifugio in “safe-houses”, come quella un tempo gestita da Anwar Saleh, attivista all’epoca 21enne che è stato arrestato e, come Al-Jarban ha dovuto trovare asilo in occidente. L’omosessualità, insomma, è associata a perversione, malattia, pedofilia, terrorismo, imperialismo, sionismo.

E veniamo a Gaza e a Hamas. Le associazioni per la difesa dei diritti civili (ad esempio: Agudah, http://agudah.israellive.de) danno notizia di gravi violazioni dei diritti dell’uomo perpetrate nei confronti di gay, lesbiche, transessuali e transgenders che vivono nei territori dell’Autonomia palestinese, pper non parlare della Striscia.

(Gaza: torture a un giovane accusato di essere omosessuale)

Un giovane appeso per i piedi, colpito ripetutamente sulle piante nude. Uomini incappucciati, incatenati alle pareti in posizioni dolorose. Queste immagini, parte di migliaia di ore di filmati, sono state trovate dall’esercito israeliano su un computer a Jabaliya, nella Striscia di Gaza. A diffonderle è stato il tabloid inglese Daily Mail, poi confermate dal portavoce dell’esercito israeliano, e riportate in Italia da Repubblica. Sono state ignorate da Bbc, Le MondeGuardian e New York Times. I video documentano interrogatori brutali condotti in una base di Hamas tra il 2018 e il 2020. La diffusione di questi orrori fa luce sul sanguinario regime di Hamas che tiene sotto scacco la popolazione palestinese dal 2007.

Altre choccanti immagini denunciano le esecuzioni sommarie che il regime del terrore dei tagliagole di Hamas riservano a chi viene giudicato come omosessuale: i condannati vengono uccisi con il lancio nel vuoto dai tetti di alti palazzi. Si sfracellano al suolo, e nemmeno dopo la morte si ha pietà per loro: c’è chi sputa o – in un ultimo, estremo oltraggio – urina addosso a quei poveri resti.

Giovani studenti propal sempre pronti a sfilare per i diritti umani, intelletualoidi di sola andata, giornalisti: dove siete stati finora senza fiatare su queste persecuzioni?

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