Nel mondo ci sono vittime di serie A, B e C. Ma non importa: l’importante è darla addosso a Israele.

Ci sono nomi e luoghi che ai più dicono poco o niente. Nomi di persone vive o già morte, di nazioni e popoli che soffrono nel silenzio generale. Vittime di serie B. Le prodigiose masse che sfilano contro il “genocidio” di Gaza sono le stesse mai pervenute di fronte a contesti anche più gravi e dolorosi. Ma si sa, le vecchie incrostazioni di certa sinistra in stile Fratoianni, spesso strabica quando non addirittura cieca di fronte a ciò che non si vuole vedere (o si fa finta di non vedere) resistono e sono dure a morire.

Un gioco sottile e tagliente di doppiopesismo è in atto ormai da oltre un anno. Si seguono i numeri dei civili morti a Gaza – mai accertati da nessuna commissione indipendente – si danno per buoni i numeri da lotteria di Hamas, senza mai interrogarsi sulla loro veridicità, con ciò facendo il gioco dei terroristi, e dunque diventando loro complici a livello mediatico.

Dire che la guerra a Gaza non abbia provocato lutti terribili alla popolazione palestinese sarebbe profondamente ingiusto. Apparteniamo a quell’Occidente civile che non chiude gli occhi davanti agli orrori di ogni guerra, senza tuttavia mai dimenticare che a provocarla è stato il pogrom del 7 ottobre. C’è una causa – sempre – dietro ogni effetto.

Ma oggi vogliamo ragionare su un altro punto che segna lo svantaggio culturale, intellettuale e soprattutto umano di chi vede in Israele il diavolo in un mare di acquasanta. Attenzione, non è buonismo quello di coloro che chiudono gli occhi e si girano dall’altra parte ignorando i milioni di lutti e tragedie che ci sono oggi nel mondo; non è ignoranza, o incapacità di avere uno sguardo lungo, no. E’ pura malafede. Ma è anche antisemitismo travestito da antisionismo, laddove peraltro essere sionisti non necessariamente equivale ad essere sostenitori di questo o quel governo in carica.

E allora cinque piccole domande ai ciechi della politica, del giornalismo travagliesco, ai soloni delle Università pronti a lanciarsi nel fuoco per sostenere un’ideologia “anti” a prescindere, e a tutta quella amorfa massa di sciamannati che fanno la faccia feroce invocando di interrompere ogni rapporto economico, culturale e accademico con Israele (in queste ore si è aggiunta la Regione Toscana).

Prima domanda. Dov’eravate quando Aleksey Navalny veniva strappato alla libertà per essere trascinato in un lager siberiano e lasciato morire nell’indifferenza generale? Dov’eravate dopo l’assassinio di Anna Politoskvaja per mano dei killer ceceni al soldo del Cremlino? Dove eravate mentre gli agenti di Putin offrivano un tè al polonio ad Aleksandr Val’terovič Litvinenko?

(Aleksey Navalny dopo l’avvelenamento)

Seconda domanda. Non ci sono solo Gaza e l’Ucraina. Davvero vogliamo parlare di bambini e vittime innocenti delle guerre? Allora spiegateci: come mai non siete mai scesi in piazza per ricordare gli oltre 120mila bimbi (sono dati Onu, pensate un po’, ma una volta tanto verificati) delle cosiddette guerre dimenticate degli ultimi vent’anni? Sono vittime due volte: perché non possono difendersi e perché sono i più fragili e i primi a pagare le conseguenze di qualsiasi estremizzazione, sia armata come quelle dei conflitti che climatica, come frane o inondazioni: emergenze mondiali che tra il 2022 e il 2023 si sono moltiplicate con la guerra in Ucraina. Ma che per voi non contano. Nello Yemen, dove oltre 8 anni di combattimenti hanno devastato la vita di 11,1 milioni di bambini, 11.000 sono stati uccisi o gravemente feriti, oltre 4.000 sono stati reclutati e utilizzati dalle parti in conflitto. In Sudan l’Unicef registra la più grande crisi di bambini sfollati al mondo, con 24 milioni di minori coinvolti e tre milioni di evacuati. Dall’altra parte del mondo, ad Haiti, circa metà della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, compresi 3 milioni di minori, vittime di una complessa storia di povertà, instabilità politica e rischi naturali. Per non parlare del Sud Sudan, del Nyanmar, dell’ Etiopia e di tante altre guerre tribali che si continuano a combattere in Africa. Eppure nessuno vi ha visto scendere in strada per questa povera gente.

Terza domanda. Da sette mesi in Venezuela è in una cella il cooperante italiano Alberto Trentini, arrestato il 15 novembre 2024 senza una motivazione giuridicamente plausibile. Alberto è un operatore umanitario originario di Venezia. Il 7 gennaio la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh) ha chiesto algoverno di fornire informazioni immediate sulle condizioni del nostro connazionale senza ricevere alcuna collaborazione. E voi non avete mosso un sussurro per lui. Vergogna.

Quarta domanda. Avremmo tanto voluto vedervi anche al Gay Pride di Teheran. O a quello di Lagos, di Saan’aa, di Algeri, di Ramallah, di Giacarta o di Pechino. Avremmo voluto vedervi sfilare al fianco e in supporto delle locali comunità omosessuali di questi prodigiosissimi Paesi progrediti, tolleranti e liberali, nei quali la scelta dell’orientamento sessuale è garantita. Al fianco delle comunità LGBTQ che tanto vi stanno a cuore, prodigiosi democraticissimi pacifisti: se solo in queste nazioni le coppie “omo” non venissero impiccate, lapidate o lanciate nel vuoto dai terrazzi degli edifici. Anche su questo, non pervenuti.

(Gaza, esecuzione di un omosessuale: lanciato nel vuoto da venti metri)

Quinta domanda. E dov’eravate – ancora – mentre i curdi morivano, massacrati dagli iracheni, dai turchi, dai tagliagole dell’Isis? E dove siete voi, colleghi giornalisti? La giornalista che definisce Gaza “una catastrofe umanitaria” centra il punto. Ma subito dopo scivola nell’ambiguità: si evita di nominare Hamas come attore centrale nella gestione del territorio palestinese, si dimenticano le sue responsabilità dirette nella mancata costruzione di uno Stato palestinese, si confonde la legittima critica a Israele con l’antisemitismo palese che si riaffaccia, anche in Europa.

Tutto molto, molto, molto triste.

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