
di Francesco Speroni*
Il comunismo, come modello generale di organizzazione della società, ha fallito ovunque sia stato applicato. È un dato storico. Dai grandi Stati del Novecento agli esperimenti più recenti, l’esito è stato sempre lo stesso: sistemi rigidi, inefficienza economica, compressione della libertà individuale, deprimente farraginosità burocratica.
Esiste però un’eccezione autentica e duratura. Un luogo in cui il comunismo non è rimasto un’astratta costruzione teorica, né, allo stesso tempo, è mai diventato un regime opprimente, ma ha preso forma nella vita quotidiana, mostrando di poter funzionare. Quel luogo è Israele.
I kibbutz nascono all’inizio del Novecento, prima ancora della fondazione dello Stato israeliano. Sono comunità agricole e produttive di impronta socialista basate sulla proprietà collettiva, sul lavoro condiviso e sulla redistribuzione delle risorse. Non esiste proprietà privata, non esistono stipendi individuali, non esiste accumulo personale: tutti lavorano per tutti e ciò che viene prodotto appartiene alla comunità.

I kibbutz hanno avuto un ruolo centrale nella costruzione di Israele: nella coltivazione di territori difficili, nell’assorbimento delle ondate migratorie, nella difesa del territorio, nella formazione di una cultura civica fondata sulla responsabilità condivisa. Per decenni hanno rappresentato uno dei pilastri materiali e simbolici del paese.
Insomma, in Israele il comunismo funziona. E funziona come pratica concreta.
La ragione è semplice. I kibbutz sono microeconomie, comunità di dimensioni limitate, progettate per essere il più possibile autosufficienti. Producono ciò che consumano, organizzano il lavoro su scala umana, distribuiscono risorse e responsabilità all’interno di un perimetro chiaro e condiviso.
L’elemento decisivo, però, è un altro. La volontarietà. Nei kibbutz si entra per scelta e, allo stesso modo, se ne può tranquillamente uscire. Chi decide di vivere in una comunità collettiva lo fa perché quello stile di vita corrisponde al proprio modo di concepire il lavoro, la cooperazione, il senso stesso della socialità.

È qui che l’esperienza dei kibbutz diventa rilevante. Mostra come il comunismo funzioni quando accetta il limite, quando è fondato sull’adesione e non sulla coercizione. Quando è una forma di vita scelta, non un destino imposto e, cosa ancora più significativa, quando sa convivere costruttivamente con le economie e i sistemi sociali diversi che lo circondano.

Un esempio concreto di questa capacità di convivere e collaborare è il sistema di irrigazione a goccia, una delle innovazioni agricole più importanti del Novecento, nata dall’esigenza di coltivare territori aridi con risorse limitate. L’idea e lo sviluppo del sistema sono legati al lavoro dell’ingegnere polacco-israeliano Simcha Blass, attivo a Tel Aviv, che sperimentò la sua invenzione – oggi diffusa in tutto il mondo – anche all’interno del kibbutz di Hatzerim, nel Negev.
In Israele esistono circa 270 kibbutz, che coinvolgono complessivamente circa 140.000 persone, perfettamente integrate nella società israeliana, pur avendo scelto un modello economico e sociale diverso da quello del resto del Paese.
Quindi mi chiedo: perché una parte consistente della sinistra occidentale mantiene un atteggiamento di ostilità verso Israele? Sto parlando di un atteggiamento pregiudizialmente critico, perdurante e costante nel tempo, non legato ai momenti di crisi e di conflitto come quelli attuali.
L’unico Paese in cui un modello collettivista funziona realmente, è guardato con sospetto e disprezzo proprio da chi a quel modello si è sempre ispirato.
Un vero paradosso.
*Francesco Speroni fino a pochi anni fa ha svolto l’attività di cameraman e editor. È stato documentarista d’arte per poi dedicarsi, a partire dal 2005, alle news, trasferendosi in Israele dove vi rimane quasi cinque anni lavorando soprattutto per Rede Globo. Dopo questo intenso periodo, si trasferisce prima in Giordania, poi nelle Filippine, dove vi rimane alcuni anni lavorando nella produzione cinematografica.
E’ il Coordinatore per la Versilia della Associazione Apuana Amici Italia Israele.
