di Marcel Kierszenbaum
L’arte della menzogna: come gli islamisti strumentalizzano la taqiyya per disarmare l’Occidente
di Marcel Kierszenbaum
Esiste un’intelligenza sinistra nella taqiyya, una dottrina il cui unico scopo è l’inganno. Spesso avvolta in sfumature teologiche o contesti storici, la sua attuale strumentalizzazione da parte degli islamisti rivela qualcosa di ben più oscuro: la manipolazione fredda e calcolata della verità come strumento di conquista. E come ciechi che accarezzano il filo di una lama, gli occidentali continuano a trattare questa menzogna come un reperto culturale, invece che come l’arma ideologica che realmente è.

Chiariamo subito: la taqiyya non è soltanto una nota a piè di pagina della teologia sciita. Non è una clausola innocua di autodifesa per minoranze perseguitate. No. Nelle mani degli islamisti, diventa un lasciapassare ideologico per mentire, sviare, e offuscare. Non come ultima risorsa, ma come primo colpo. Una strategia. Una tattica di guerra. Un cavallo di Troia fatto di duplicità pacata, pensato per indurre le democrazie liberali ad abbassare la guardia: culturalmente, legalmente, esistenzialmente.
I radicali islamisti hanno imparato bene: l’Occidente è dipendente dal dialogo, allergico all’offesa, e sempre ansioso di dimostrare la propria tolleranza. E loro recitano la parte. Sorridono nelle interviste. Condannano il terrorismo con indifferenza. Citano Rumi mentre sognano la sharia. Cantano “pace” in inglese e “jihad” in arabo. E per tutto il tempo, la taqiyya consente loro di indossare la maschera — con il permesso divino.
Il risultato? Un teatro di falsa moderazione. Osserviamo i leader di gruppi islamisti trasformarsi in “portavoce della comunità”, mentre i radicali si infiltrano nei circoli dei diritti umani, e le moschee finanziate da autocrazie straniere predicano una supremazia silenziosa sotto il velo della convivenza. Il tutto mentre l’Occidente, paralizzato dal politicamente corretto, consegna il microfono — e le chiavi della città.

(il rito sciita della Ashura, con l’autoflagellazione a sangue. Special thanks to Haidar Hamdani/AFP/Getty)
E quando la maschera cade? Quando gli “attivisti per la pace” inneggiano ad Hamas, o quando l’imam “moderato” elogia il martirio nel sermone del venerdì? Si liquida tutto. Un malinteso. Una citazione errata. Ancora una volta, la taqiyya fornisce l’alibi. È la dottrina delle scuse infinite — una menzogna che santifica altre menzogne.
Perfino l’articolo su Wikipedia partecipa alla farsa trattando la taqiyya con la stessa reverenza riservata a lingue in via d’estinzione o rituali fraintesi. Ma da nessuna parte si dice chiaramente la verità: che gli islamisti hanno perfezionato lo sfruttamento di questa dottrina come risorsa strategica. Ai loro occhi, l’ingenuità occidentale non è un problema, è un’opportunità.
Immaginate, per un attimo, se una tradizione cristiana o ebraica permettesse esplicitamente l’inganno per ottenere vantaggi sugli altri. Immaginate l’indignazione. Gli editoriali. Le smentite. Ma quando gli islamisti usano la taqiyya per manipolare, ingannare e conquistare, l’Occidente non solo perdona — applaude. Come un coniuge maltrattato che difende l’aggressore, l’intellighenzia liberale insiste: “Non lo capisci. Non era quello che voleva dire.”
Ma lo capiamo. E molti hanno iniziato a svegliarsi. I sorrisi. Le frasi fatte. Il silenzio strategico quando il sangue è ancora fresco e i coltelli ancora caldi. La realtà è questa: la taqiyya non è una nota a margine. È una strategia. Non uno scudo, ma una spada.
È ora di chiamarla per quello che è: menzogna autorizzata in nome della dominazione. E smettere di fingere che l’imam sorridente in TV — che condanna il terrorismo mentre raccoglie donazioni per Hamas — sia altro che un maestro della messa in scena.
Perché alla fine, la taqiyya non è solo una menzogna raccontata dagli islamisti. È una menzogna che noi scegliamo di credere. E come ogni menzogna non contestata, non conduce alla pace, ma alla resa.