di Daniele Coppin

“In guerra la verità è la prima a morire”. Così Eschilo, venticinque secoli fa, sintetizzò ciò che accade durante un qualunque conflitto.
A questa massima non sfugge neanche l’attuale conflitto in Medio Oriente che, anzi, si sta caratterizzando per una diffusa e costante distorsione della realtà fattuale per motivi ideologici, di convenienza politica, se non di semplice conquista di visibilità mediatica. Il tipo di notizie diffuse, il modo in cui vengono riportate, spesso anche la tempistica scelta per la loro diffusione sono diventati veri e propri strumenti del conflitto che si affiancano alle armi e che più delle armi finiscono col determinare il sostegno a una delle parti in causa piuttosto che all’altra. In realtà anche il conflitto scatenato dalla Russia di Putin contro l’Ucraina più di tre anni fa è stato condizionato, soprattutto all’inizio, da una distorsione dei fatti attuata da quella parte dei giornalisti, degli intellettuali, dei politici che, se non schierati dalla parte dell’aggressore russo, quantomeno dimostravano una simpatia nei suoi confronti in chiave antioccidentale e anti Nato.
Ma il conflitto mediorientale scatenato da Hamas, con il massacro del 7 Ottobre 2023, ha rappresentato un “salto di qualità” nella distorsione dei fatti, dando credito totale ai dati forniti da una delle due parti in causa, utilizzando termini non corrispondenti ai fatti, ignorando del tutto le particolarità del conflitto “urbano” tra Israele e Hamas tanto da riportare alla mente Tucidide che, a proposito della Guerra del Peloponneso, scrisse che «i contendenti cambiarono a piacimento il significato consueto delle parole in rapporto ai fatti». 
Purtroppo sono in tanti ad essere caduti nella trappola della disinformazione, alcuni dei quali, per il proprio ruolo, esprimendosi sulla base di notizie non verificate, hanno finito col diventare essi stessi strumenti involontari della manipolazione dell’informazione.
Termini come “genocidio”, “pulizia etnica”, “violazione del diritto internazionale umanitario”, pronunciati con la sicumera di chi non ammette obiezioni ed è pronto a dare del “complice del genocidio” chiunque cerchi di argomentare opinioni diverse, sono diventate le parole d’ordine di tutti coloro che hanno visto in questo conflitto l’occasione per manifestare il proprio odio verso Israele e utilizzarlo per ottenere visibilità e consensi.
In questo quadro si è però venuto a determinare, con l’attacco di Israele all’Iran del 13 giugno scorso, un elemento “perturbatore” per quanto riguarda il giudizio su Israele. Questo è avvenuto per diversi motivi. In primo luogo perché l’Iran è una grande potenza regionale, con un territorio grande più di cinque volte l’Italia, con più di novanta milioni di abitanti, una storia e una cultura plurimillenaria, quindi è un nemico di Israele di ben diversa portata rispetto ad Hamas, a Hezbollah e agli Houti, suoi più temibili proxy
regionali. In secondo luogo perché il regime iraniano, che opprime le donne, i dissidenti, i gay, al secondo posto nel mondo per condanne a morte inflitte nel 2024 e con mire espansioniste mai nascoste sul resto del mondo islamico, a cominciare dagli Stati che si affacciano sul Golfo Persico, non gode delle stesse simpatie di cui possono godere i Palestinesi. Infine, l’Iran è impegnato da anni in un programma nucleare che, dichiarato per scopi civili, in realtà persegue l’obiettivo di dotarsi dell’arma nucleare, come dimostrato dai livelli di arricchimento dell’uranio al 60 % (per scopi civili l’arricchimento necessario è
compreso tra il 3 e il 5 %), dal continuo sottrarsi ai controlli dell’AIEA e ad aver addirittura occultato la realizzazione di un nuovo impianto per l’arricchimento.
Eppure, nonostante questi elementi, una parte consistente di commentatori, politici e intellettuali si sta cimentando in una nuova specialità, quella di negare l’evidenza e di sovvertire i fatti. L’argomento ricorrente, da parte dei sostenitori della teocrazia iraniana, è il fatto che Israele possegga testate nucleari senza che nessuno lo controlli (cosa ovvia ai sensi del diritto internazionale non avendo aderito Israele a Trattato di Non Proliferazione nucleare). Quindi, affermano i paladini del regime iraniano, perché l’Iran (che invece ha aderito suddetto Trattato) non dovrebbe dotarsi anche lui dell’arma atomica? Già perché? La logica direbbe perché, se è vero che Israele possiede non si sa quanti ordigni nucleari (100, 200, 300?) è pur vero che, pur possedendoli, non li ha mai usati. Al contrario, l’Iran non ha mai nascosto l’intenzione di cancellare Israele dalla faccia della Terra e che, avendo l’arma atomica, potrebbe agilmente ottenere questo risultato con un paio di ordigni al massimo, viste le dimensioni di Israele. Questo direbbe la logica.
Ovviamente, condizione imprescindibile affinché tale ragionamento possa essere “compreso” è la conoscenza della geografia e di un po’ di matematica da terza elementare. Israele ha una superficie pari a quella dell’Emilia Romagna, per circa la metà occupata dal deserto del Negev e con gran parte della popolazione concentrata nella fascia pianeggiante costiera, larga tra i 13 e i 15 km e lunga poco più di 100 km. Uno o due bombe nucleari basterebbero a spazzare via tutto e a determinare una nuova Shoah.
E’ forse questo che vorrebbero i volenterosi sostenitori e fiancheggiatori nostrani degli Ayatollah? Alcuni di loro forse sì, altri eviterebbero la risposta, altri ancora, quelli privi di nozioni basilari di geografia e matematica, resterebbero a bocca aperta interdetti come gli alunni colti impreparati a lezione. Ma, probabilmente, il motivo di tanta “simpatia” verso il regime iraniano da parte di alcuni esponenti del mondo politico, dell’informazione e della cultura è un qualcosa di molto peggio. E’ quel pregiudizio nei confronti di Israele che, dietro la convinzione di essere “più buoni” e di detenere un “primato morale”, nasconde la necessità di scrollarsi di dosso quel senso di colpa del mondo occidentale e dell’Europa in particolare che ogni anno viene risvegliato il 27 gennaio, il Giorno della Memoria. Ma attenzione perché per costoro è solo verso gli Ebrei che il senso di colpa dovrebbe essere rimosso, mentre invece è doveroso nei confronti di quei popoli che sarebbero vittime unicamente dell’Occidente, e non dei
regimi totalitari che li opprimono nella realtà.
A questi “buoni” che simpatizzano per gli Ayatollah, si aggiungono quelli che, per conquistare un titolo sui giornali, aumentare i “like” del proprio profilo social (si sa, oggi la visibilità sui social è tutto per cantanti, attori e attrici, scrittori), raccattare consensi elettorali evocando un “pericolo” con il quale alimentare le paure dei cittadini: qualche anno fa il Covid, oggi la guerra scatenata da Israele. Che poi questo modo semplicistico e immaturo di discutere di un tema tanto delicato e drammatico possa favorire il riemergere dell’antisemitismo chi se ne frega, tanto basterà fare ciò che per secoli è stato fatto in casi simili: dare la colpa del pregiudizio contro gli Ebrei agli Ebrei, in questo agli Israeliani e a
Netanyahu.
E purtroppo anche su vicende minori, conseguenza del conflitto tra Israele e Iran, si assiste a una mistificazione che fa pensare più che a superficialità a qualcos’altro.
Un esempio è la vicenda di Antonello Sannino, Presidente dell’Arcigay di Napoli, recatosi in Israele per il Gay Pride di Tel Aviv e rimasto bloccato per la sospensione dei voli per la chiusura degli
aeroporti israeliani a seguito dei lanci di missili dall’Iran. Il blocco degli spostamenti ha colpito tutti, Israeliani e non israeliani, in partenza da e per Israele. Ci sono persone bloccate in Israele come Sannino, così come ci sono israeliani bloccati all’estero perché impossibilitati a partire. Una “normale” conseguenza di questa guerra come di altre guerre. Eppure nei giorni scorsi hanno colpito le parole del Presidente della Regione Campania che annunciava “in questo momento abbiamo un nostro concittadino, Antonello
Sannino, che è stato fermato in Israele”. E ad alimentare questa suggestione ci si è messo anche il sindaco di Torre Annunziata, la città di Sannino, che ha affermato: “chiediamo pubblicamente al Governo italiano e
alle autorità competenti di attivarsi con urgenza per garantire l’incolumità e la libertà di Antonello, e favorirne il rientro immediato in Italia.” Insomma, Antonello Sannino come Cecilia Sala, Israele come l’Iran.
Le parole sono importanti perché possono aiutare a capire ma possono anche distorcere i fatti, favorendo la diffusione di pregiudizi o distogliendo l’opinione pubblica dalla realtà rendendo la verità vittima di come la guerra.

One thought on “Guerra e verità

  1. Ottimo articolo. In questo momento nel quale, sembra, che si sia capaci di ragionare solo per immagini, fermandosi al solo, immediato coinvolgimento emotivo che queste, soggettivamente, possono evocare, è indispensabile ritornare a voci di dialogo, a parole ponderate sulle ragioni degli uni e degli altri. Parole, frutto di analisi serie, e non slogan! Solo così si potranno trovare le soluzioni, che le bandiere monocolore, le urla e gli slogan preconfezionati, stanno solo allontanando!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna all'inizio