di Daniele Coppin

La guerra scatenata da Hamas con il massacro del 7 Ottobre 2023 e il rapimento di civili israeliani tiene banco per la situazione in cui versa la popolazione di Gaza, sia a causa dei bombardamenti israeliani per colpire la rete di tunnel realizzata da Hamas nel corso degli anni e i vertici dell’organizzazione terroristica che del blocco degli aiuti umanitari deciso dal governo israeliano nei mesi scorsi.
Come reazione a questa crisi Spagna, Irlanda e Norvegia hanno deciso di riconoscere lo Stato di Palestina, mentre Francia e Gran Bretagna, come una sorta di minaccia contro Israele, dichiarano di essere pronti a farlo.
In Italia, i partiti di opposizione in Parlamento (PD, M5S, AVS e Azione, con l’eccezione di IV), chiedono al Governo di fare altrettanto, oltre a chiedere il ritiro dell’ambasciatore italiano in Israele.
C’è da sottolineare che lo Stato di Palestina è riconosciuto in Europa da 26 Paesi. Polonia, Cecoslovacchia (oggi Cechia e Slovacchia), Ungheria, Romania e Bulgaria lo avevano fatto quando aderivano al blocco sovietico. A questi si sono aggiunti nel corso degli anni Albania, Armenia, Azerbaigian, Belarus, Bosnia Erzegovina, Cipro, Federazione Russa, Georgia, Islanda, Kazakistan, Montenegro, Polonia, Vaticano, Serbia, Slovenia, Turchia, Ucraina, mentre la Svezia è stato il primo Paese UE ad aver compiuto questo passo nel 2014.
I primi riconoscimenti si inquadravano nelle logiche del mondo diviso nei due blocchi, quello occidentale e quello sovietico. In seguito gli accordi di Oslo del 1993 hanno determinato un clima di fiducia sulla soluzione della questione israelo-palestinese che rendeva quantomeno comprensibile la scelta di riconoscere lo Stato di Palestina. Ma stavolta la decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia e le dichiarazioni di Francia e Gran Bretagna, così come le richieste dei partiti d’opposizione del Parlamento italiano, hanno un significato molto diverso.
Attualmente i territori palestinesi sono distinti, non solo geograficamente ma anche politicamente, in due entità: una è la Cisgiordania, divisa nelle zone A, B e C come definite dagli accordi di Oslo, dove il soggetto politico dominante è l’ANP di Abu Mazen che controlla la zona A (circa metà della Cisgiordania) e, per quel che riguarda gli aspetti amministrativi, la zona B; l’altra è la striscia di Gaza, sotto il controllo di Hamas in seguito alle elezioni tenutesi in quel territorio nel 2007.
Questa divisione, oltre a rappresentare un elemento di instabilità tra i Palestinesi e per qualunque trattativa futura con Israele, finisce con il rendere la decisione del riconoscimento dello Stato di Palestina un atto puramente simbolico, del tutto privo di efficacia concreta e con l’inevitabile conseguenza di rafforzare, in termini di consenso interno, l’estrema destra politico religiosa di Israele fornendole uno strumento di persuasione di una parte consistente dell’opinione pubblica israeliana basata sul fatto che il mondo preferisca premiare il terrorismo palestinese anziché sostenere Israele nella sua lotta per debellarlo.
Pertanto, che cosa intendono Schlein, Fratoianni, Bonelli, Conte e Calenda quando chiedono il riconoscimento dello Stato di Palestina, trattandosi, di fatto, di due entità politicamente distinte? Intendono il riconoscimento di una Palestina amministrata dall’ANP e quindi senza il controllo della striscia di Gaza da parte di Hamas, scelta che obbligherebbe a estirpare Hamas o, quantomeno, a “esiliare” i suoi vertici e i suoi “quadri”, a distruggere la rete di tunnel che attraversa il sottosuolo della striscia di Gaza, a smantellare i depositi di armi, le basi e i centri di comando installati da Hamas in ospedali, scuole e moschee, in pratica facendo ciò che è stato per diciannove mesi l’obiettivo di Israele che loro hanno tanto criticato? Oppure intendono il riconoscimento di uno Stato palestinese governato da una coalizione tra ANP e Hamas (e a questo punto, perché no, anche con la partecipazione della Jihad), venendo quindi a determinare le condizioni per un nuovo 7 Ottobre che stavolta non colpirebbe solo il sud di Israele ma gran parte dello Stato ebraico, considerata la conformazione del territorio della Cisgiordania che si incunea tra il nord e il sud di Israele?
Ma c’è un’altra considerazione che viene inevitabile fare a proposito della richiesta di riconoscimento della Palestina avanzata da una parte del Parlamento italiano. Dal 29 novembre 1947, quando fu approvata dall’ONU la Risoluzione n. 181 con la quale si stabiliva che i territori del Mandato britannico sulla Palestina sarebbero stati divisi tra uno Stato ebraico e uno Stato arabo, ad oggi i Palestinesi hanno rifiutato tutte le proposte di spartizione, chiunque fosse al governo in Israele. Hanno rifiutato la spartizione prevista dalla Risoluzione ONU n. 181; hanno rifiutato quella proposta ad Arafat dal laburista Barak nel 2000 a Camp David, che prevedeva per lo Stato di Palestina la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est; hanno rifiutato la proposta del 2006 dell’allora premier Olmert, che ricalcava quella di Barak di sei anni prima con un corridoio stradale per unire la Cisgiordania a Gaza; la rifiutano oggi, quando proclamano in cortei conferenze “Palestina libera dal fiume al mare”, affermazione confermata e chiarita dalle loro mappe del futuro Stato palestinese in cui Israele non compare.
E quindi, domandiamo ai vari leader che hanno avanzato la richiesta in Parlamento: ma siete proprio sicuri che i Palestinesi, quando dicono di volere il proprio Stato, siano d’accordo con l’idea dei “due popoli per due stati” e che invece non pretendano in quell’area uno Stato solo, “dal fiume al mare”, quindi senza più la presenza di Israele?
Non ci aspettiamo una risposta a queste domande perché una risposta non ci sarà, essendo i proponenti troppo intelligenti per non capire che la loro richiesta, al momento, anche nell’ipotesi che venisse accolta dal governo, non potrebbe avere alcuna conseguenza pratica.
E allora è legittimo ritenere che il vero motivo che ha spinto questi partiti a proporre il riconoscimento dello Stato di Palestina non sia da ricercarsi in un encomiabile quanto ingenuo tentativo di portare un contributo ad una questione che si trascina da decenni, bensì, per cercare di aumentare i propri consensi, solo quello di approfittare del riemergere dell’odio per l’Ebreo che, anche se travestito da odio per l’Israeliano, non è mai scomparso e che viene alimentato più o meno consapevolmente da un’informazione estremamente orientata.
In fondo gli Ebrei in Italia sono meno di trentamila e che cosa sono rispetto a qualche punto percentuale in più alle prossime elezioni?

2 thoughts on “L’ipocrisia del riconoscimento della Palestina

  1. Ottimo articolo molto interessante e chiaro speriamo che sia letto da hi ancora e sono molti sta dalla parte sbagliata

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