di Franco Londei*
È bastato smettere di sparare per poche ore per capire che Hamas non solo non era sconfitto, ma era vivo e vegeto. Uomini di Hamas presidiano tutti gli snodi cruciali della Striscia di Gaza. Giustiziano per strada coloro che considerano loro nemici o collaborazionisti. In poche ore hanno dato una prova muscolare del loro stato, del loro essere in vita.
E a chi fa notare che i due anni di guerra non sono serviti a debellare Hamas dalla Striscia di Gaza, anzi, che questa tregua segna per loro una vittoria psicologica di immenso valore che li rende addirittura più forti, viene risposto che “siamo solo al primo punto dell’accordo” e che “Hamas disarmerà e si ritirerà” quando entrerà in vigore il secondo punto.
Si, come no. Al di la della difficoltà oggettiva di debellare il sistema Hamas, di cui il braccio armato è solo un’appendice, la prova di forza che sta dando il gruppo terrorista in queste ore dimostra che le Brigate Izz al-Din al-Qassam sono ancora pressoché integre, almeno la loro parte più letale.
Il Presidente Trump continua a dire di “aver risolto la guerra tra Israele e Hamas”, ma credo che stia prendendo un abbaglio, specialmente se pensa che il gruppo terrorista disarmerà. E ad Hamas delle vuote minacce di Trump non importa nulla.
E voglio dirla tutta: se Hamas ha restituito gli ostaggi vivi, liberandosi cioè della loro arma negoziale più importante, è perché hanno avuto garanzie di ferro non solo sulla loro sopravvivenza, ma sul loro ruolo. Chi ha dato ad Hamas queste garanzie? Il Qatar, la Turchia e probabilmente l’Arabia Saudita, cioè gli estensori del cosiddetto “piano di pace Trump”.
Benjamin Netanyahu si è trovato in mezzo ad un mix di opportunismo arabo e ambizione americana. Una centrifuga di interessi economici e di mire arabe che poco hanno a che fare con un piano di pace serio, un piano cioè con dei punti ben precisi, privi di equivoci o di doppi sensi e omissioni come invece è il “piano di pace Trump”.
A pensar male, visto che è stato scritto e mediato dai due padrini di Hamas, cioè Turchia e Qatar, si potrebbe dire addirittura che quel piano sia stato scritto apposta per far sopravvivere Hamas in qualche forma che gli permetta di non mollare la presa su Gaza.
E a pensar male due volte c’è un altro punto su cui riflettere. Ieri il Middle East Media Research Institute (MEMRI) ha lanciato l’“allarme Turchia” incentrato sul fatto che Erdogan avrebbe seriamente intenzione di attaccare Israele. Ebbene, qualcuno faceva notare che non essendoci prossimità territoriale un attacco turco contro Israele sarebbe alquanto improbabile. Sicuri? La Siria non confina con Israele? E chi ha messo lo jihadista Ahmed Al-Sharaa sul trono di Damasco? E chi vorrebbe inviare “truppe di pace” a Gaza? Non si faccia con Erdogan l’errore di sottovalutazione fatto con Hamas.
Trump ha avuto troppa fretta di chiudere il cosiddetto “accordo di pace”. Ha messo Netanyahu in un angolo credendo di poter far meglio, almeno per i suoi molteplici interessi. Così come ha chiuso troppo in fretta il “problema Iran”. Tutti fronti ancora aperti. Gli interessi nel Golfo mal si legano con le esigenze di sicurezza di Israele.
La fine della guerra, così come propagandata da Trump, è solo un equivoco, un pericolosissimo equivoco che rischia di mettere seriamente in pericolo Israele.
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