di Marco Del Monte
Il detto, che lascia trasparire quanto i romani siano disincantati, è: “Morto ‘n papa se ne fa ‘nantro”, cioè morto un papa se ne fa un altro, come dire che un popolo come quello romano ha vissuto tutto da Romolo ad oggi, ha visto un bandito fondare Roma, ha visto re, imperatori, papi e presidenti e niente lo coinvolge mai al cento per cento.
I Giordano Bruno e i Ciceruacchio sono rari come un quadrifoglio e, quindi, quelli che acclamano i nuovi papi sono soprattutto gli stranieri, che vengono a Roma per vivere dei momenti, di cui i romani sono sazi e quasi indifferenti. C’è un altro detto romano che la dice lunga: Roma, città antipatica, però questo è er malanno, che tutti ce se fermeno e manco se ne vanno. Roma ha conquistato pure Attila ed il fatto che a fermarlo sia stato papa Leone Magno, per il romano è un dettaglio, ma non lo è per quanto stiamo per dire.
Alla morte di papa Bergoglio si aspettava un conclave lungo e complicato, con la sottile convinzione che dopo tre papi stranieri fosse la volta di un italiano; ma forse non è ancora il momento e così è venuto, in brevissimo tempo, il quarto papa straniero, questa volta proveniente dagli Stati Uniti d’America.
Un’altra sorpresa è stato il nome scelto dal papa americano: Leone XIV, con il che vanno in soffitta Pio, Giovanni e Paolo.
Questo vuol dire, innanzi tutto, mettere un punto definitivo al Concilio Vaticano II, che aveva riaperto il dialogo con gli Ebrei, un po’ sofferente negli ultimi tempi.
Cogliamo, quindi, l’auspicio insito nel nome Leone. La traduzione del nome in ebraico è Jeudà, cioè, Giuda, perché il leone è il suo simbolo e quello della tribù, datogli dal padre Giacobbe e diventerà anche il simbolo del Messia che discende dal re David, appunto della tribù di Giuda, come vedremo meglio più avanti. Consequenzialmente, il nome scelto da papa Prevost lo avvicina all’ebraismo e questo fa ben sperare; a mio parere nelle sue mani può essere accentrata una ripresa del dialogo, il che farebbe uscire Israele dal suo isolamento, argomento trattato in articoli precedenti.
Aggiungo una curiosità: io sono stato per lunghi periodi della mia adolescenza ad Ancona, dove c’è la Cattedrale di San Ciriaco (sulla quale ho scritto una recensione storico-strutturale) al cui ingresso principale il Vanvitelli, architetto del diciottesimo secolo, aggiunse un’architrave sostenuta da due pilastri poggianti su due leoni, simbolo del Messia, come dicevo poc’anzi.
Tornando al nuovo papa, per domenica si attendeva il primo discorso, che c’è stato e con il quale ha posto dei punti fermi, tra cui il rilascio immediato degli “ostaggi”. In un momento così triste, dove ci sentiamo tremendamente soli, dove l’altro americano (Trump), sembra aver imboccato la via del faccio tutto io, ci si aggrappa anche al minimo, che accende la speranza che Leone non applichi il detto de minimis non curat praetor, ma prenda sulle spalle il fardello di un’umanità perduta per tracciare una nuova via.
Credo che tutti se lo aspettino, e noi in particolare.
Facciamo qualche riflessione ancora sul nome scelto, perché, secondo me è di importanza fondamentale.
Ripartiamo dall’inizio: dunque il “leone” è il simbolo di Giuda, alla cui tribù apparteneva il re David, fondatore di Gerusalemme e da cui discende il Messia; per i Cristiani dunque è un forte richiamo alle origini. Per quanto riguarda il re David, il re guerriero, questi fondò Gerusalemme, capitale del regno, dandole un nome composto da Jarè (che in lingua cananea significa costruisco) e dalla desinenza ebraica shalèm (che in ebraico significa pace). Tutto un auspicio si potrebbe dire ed è questo che aspettiamo con ansia crescente. L’ultimo papa Leone è stato l’autore della enciclica Rerum Novarum, una grande finestra sui problemi sociali, non solo di quel momento, ma anche sui futuri che, come constatiamo ogni giorno, di certo non ci mancano. Non ci resta che attendere dunque con la certezza che chi ben comincia è a metà dell’opera. Auguriamoci, quindi, che i fatti concreti siano annunciati e realizzati dal nuovo pontefice che con questo nome rievoca il fondatore della “città della Pace” e il suo discendente che dovrebbe portare la pace nel mondo.
Il nome Giuda (e il leone suo simbolo) in ebraico ha la stessa radice di “colui che loda D.” e questo mi pare il sigillo più visibile perché una situazione così complicata appare non risolvibile solo dall’uomo: questa è la speranza più grande.