Solo in Italia, tra il 7 ottobre e il 30 ottobre 2023, si sono verificati 42 episodi di antisemitismo, il doppio rispetto allo stesso periodo nel 2022. Sarebbe però Telegram il luogo in cui l’antisemitismo prolifera maggiormente, grazie a un canale da 80 mila iscritti in cui vengono diffuse teorie del complotto no vax e antisemite e la teoria secondo cui l’attacco di Hamas del 7 ottobre sarebbe stato progettato da Israele. Dall’inizio dell’anno se ne sono verificati quasi 280 (28 per minacce alle persone, 198 per diffamazione e insulti, dieci per vandalismo. Si va dai post sui social, inneggianti all’annientamento dello Stato d’Israele, agli insulti anche nei cortei pro Palestina, e il web rappresenta dunque – su questo versante – una delle minacce più gravi, se non la più grave.
David Meghnagi, docente di Psicologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università “Roma Tre”, componente della delegazione italiana presso la Task Force for International Cooperation on Holocaust Remembrance and Education, è stato anche vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane. Ma Meghnagi è soprattutto un intellettuale che sa analizzare le dinamiche della storia. Ecco perché la sua analisi sull’attualità dell’allarme legato all’antisemitismo parte da lontano.
Riprendiamo la sua intervista concessa a Eliana Pavoncelli su “Riflessi” online.
«L’antisemitismo è un fenomeno che riemerge a intervalli regolari attraverso forme note ma anche nuove e sempre più aggressive. In questo caso parliamo del 7 ottobre, che ha determinato il salto di qualità, sublimando la distruzione dell’altro, dell’ebreo».
Che cosa sta succedendo?
«Tanto per cominciare siamo di fronte a un cortocircuito cognitivo: dopo il 7 ottobre sono stati innalzati i livelli di sicurezza per i cosiddetti “siti sensibili”, a cominciare da quelli ebraici: non soltanto ambasciata e sedi consolari, ma anche sinagoghe e scuole ebraiche. Mi chiedo come si possa arrivare alla dispersione cognitiva per la quale ebrei e israeliani vengano considerati in modo indifferenziato. Se qualcuno compie un attentato a una sinagoga colpisce cittadini italiani. E invece passa inconsapevolmente la convinzione che attaccando una sinagoga si stia colpendo un’istituzione israeliana».
(David Meghnagi)
E che cosa vede alla base di questo cortocircuito?
«La demonizzazione di Israele. Oggi l’antisemitismo è un meccanismo articolato che punta a delegittimare lo Stato d’Israele, a identificarlo come il regno del male; e questo determina il trasferimento di tutti i simboli negativi anche sugli ebrei. Questa demonizzazione ha molti aspetti e diverse cause. Israele viene identificato come una entità colonialista, imperalista, amica degli americani. Uno stereotipo che nasce già dopo la guerra del 1967 e che determinò anche un’ondata di panarabismo che fece da collante per tutto il mondo arabo. E tutttavia oggi l’odio dei Paesi arabi coinvolge anche nazioni che non hanno mai avuto storicamente motivi di contrasto con Gerusalemme, ad esempio il pakistan, l’Iran, l’Indonesia».
Lei vive e opera nel mondo accademico e sa bene quanta parte di responsabilità e incrostazioni culturali antiisraeliane vivano proprio negli Atenei.
«Anche questo nasce dal processo che ho descritto, da quella percezione di Israele come di uno Stato colonialista, asservito agli Stati Uniti, imperialista eccetera. Uno stereotipo che ha fatto molta strada conquistando anche le Università. I docenti italiani sono, ad esempio, profondamente impregnati dal pregiudizio che Israele sia uno Stato di apartheid. Su questo versante si è impegnato anche un intero mondo terzomondista, Durban docet».
Intanto le Università e le scuole vengono occupate…
«Tollerare che un’Università venga occupata e bloccata è una cosa terribilmente pericolosa, oltre che grave. I fatti accaduti all’Orientale di Napoli o a Torino, dove si è consentito a una terrorista di intervenire, sono tra le cause che favoriscono il dilagare dell’antisemitismo. Mi chiedo che cosa succederebbe se un docente, un ricercatore, volesse svolgere in un’aula universitaria un dibattito onesto e non schierato sulla complessità della questione mediorientale. Probabilmente verrebbe linciato».