Genocidio. La parola più amata da tanta sinistra italiana quando si parla d’Israele. Pochi sanno che a sdoganare il distillato dell’odio antisemita fu nientemeno che Luciano Lama, in anni non sospetti risperro a oggi.
Torniamo ai giorni drammatici del 1982 a Roma . Il 9 ottobre era sabato, e la comunità ebraica celebrava, nella festività di Sheminì Atzeret, la benedizione dei bambini. Poco prima di mezzogiorno, contro la folla che usciva dal Tempio Maggiore, due miliziani della fazione palestinese di Abu Nidal lanciarono bombe a mano e spararono raffiche di mitra. Ci furono 39 feriti, tre erano bambini e 18 donne. Un altro bambino di due anni, Stefano Gaj Tachè, morì un’ora dopo. Il suo fratellino di due anni maggiore, Gadiel, fu gravemente ferito, e feriti i genitori.
Attorno alla sinagoga si sfogò dolore e collera, contro l’assenza delle forze dell’ordine, contro i notabili politici, contro i giornalisti, ritenuti in blocco complici dell’odio antiebraico che era montato nei mesi precedenti. Il 25 giugno, durante un corteo della Cgil qualcuno aveva depositato una bara davanti alla sinagoga, sotto la lapide per gli ebrei trucidati alle Fosse Ardeatine, senza che il gesto sollevasse troppa deplorazione. Luciano Lama, segretario della Cgil, rispose alla protesta del rabbino capo Toaff nominando “l’ipotesi di un vero e proprio genocidio” attuato da Israele in Libano.
In quel giugno c’era stata l’invasione del Libano da parte dell’esercito israeliano, dopo l’attentato (non mortale) all’ambasciatore d’Israele a Londra, compiuto da seguaci della stessa banda di Abu Nidal, in rotta con l’Olp di Arafat. L’intenzione del governo di Begin e Sharon era, anche allora, di estirpare il terrorismo dell’Olp. E tra il 16 e il 18 settembre, alla periferia di Beirut, nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, i miliziani della Falange cristiana libanese avevano perpetrato una orrenda carneficina. Nel mondo, la commozione e lo sdegno anti israeliani raggiunsero un culmine – qualcosa di paragonabile, fatte le proporzioni, alla reazione di oggi alla distruzione di Gaza, con due grosse differenze: che allora Israele non aveva subìto un’aggressione orribile come quella di Hamas del 7 ottobre, e che lo scempio di Sabra e Shatila era stato materialmente attuato dai cristiani maroniti di Bashir Gemayel, alleato di Israele e assassinato poco prima in un attentato siriano-palestinese (quello di “Valzer con Bashir”).

(I funerali del piccolo Stefano Taché)
Nel settembre il capo dell’Olp, Arafat, a Roma per l’Unione interparlamentare presieduta da Andreotti, era stato ricevuto con onori da capo di stato dal sindaco comunista, Vetere, dal presidente Pertini, dal Papa Giovanni Paolo II, dai segretari di Pci, Psi e Dc e dei tre sindacati. Cosicché nel pomeriggio angoscioso di quel 9 ottobre i (pochi) visitatori illustri alla sinagoga, perfino quelli più vicini a Israele e alla comunità, Spadolini, Pannella, vennero accolti da una folla duramente ostile. Il rabbino capo Elio Toaff dovette dire a Pertini che “il malumore della folla era tale da sconsigliare la sua venuta nel quartiere ebraico”.
Quel 1982 fu davvero un anno cruciale. Lo scivolamento da una simpatia “socialista” per l’Israele del kibbutz – non pochi giovani anche non ebrei erano partiti a cercarvi la propria iniziazione solidale – a un atteggiamento filoarabo dei governi e filopalestinese della sinistra, era in corso da tempo. E l’inversione polemica dagli ebrei indifesi agli ebrei massacratori aveva fatto la sua comparsa dal 1948, con la strage del villaggio di Deir Yassin compiuta da milizie della destra sionista. Nel 1967 la guerra aveva archiviato l’immagine del Davide contro Golia, e si era conclusa con un enorme acquisto di territori per Israele: e la propaganda sovietica aveva fomentato quella retorica. Nel 1975 l’Assemblea dell’Onu aveva votato equiparando il sionismo al razzismo. L’associazione fra sionismo e colonialismo, e Palestina (e Vietnam) e anti imperialismo, aveva già sedotto una parte della sinistra comunista e per intero la sinistra extraparlamentare. Nel suo primo anno, il 1972, il quotidiano di Lotta Continua cedeva all’equazione Israele-nazifascismo. Ora la guerra del Libano apparve, a differenza di quelle del 1967 e del 1973, una guerra d’aggressione di Israele. La “reductio ad Hitlerum” era in vigore anche tra i capi israeliani, e Begin paragonava Arafat a Hitler (replicò Amos Oz: “Signor primo ministro, Hitler è già morto!”). Ora il nesso intimo fra ebrei vittime e nazismo persecutore si rovesciò nell’immagine cattivante delle “vittime che si fanno carnefici”.
L’antisemitismo ha radici forti e antiche nella sinistra italiana. Assurdo.
(fonte Il Foglio)

		
Narrazione perfetta e senza fronzoli.