di Antonio Cardellicchio

La ricerca scientifica, la comparazione storica, il senso morale, o una più semplice onestà intellettuale, provano che il Sionismo è un movimento di liberazione nazionale, anti-colonialista, anti-imperialista, di evoluzione progressista, un’azione di emancipazione umana, di umanesimo della libertà, per gli Ebrei e per gli uomini liberi. Una realtà splendida di de-colonizzazione, contro oceani e muraglie di incomprensione, derisione, odio infinito, realtà e progetti di annientamento politico e fisico.

La dignità e nobiltà del Risorgimento Ebraico Sionista è oggi investita da un bombardamento quotidiano mediatico, militarista, terrorista di un’ampiezza e intensità senza precedenti, in una mostrificazione che supera di molto, in virulenza e ferocia, la de-umanizzazione degli Ebrei costruita da Hitler e Goebbels.
Tanto più la ricerca veritativa mostra e dimostra il genuino carattere anti-coloniale del Sionismo, tanto più la guerra psicologica totalitaria lo descrive come colonialista. Tanto più si espande e si estremizza l’aggressione verbale e fisica, tanto più si eleva la civiltà ebraica sionista, liberatrice e progressiva.

Andiamo a rivedere una relazione di Georges Bensoussan, molto chiarificatrice ma poco conosciuta, a un convegno su Israele e il sionismo a Torino nel 2017, organizzato da Emanuele Segre Amar. Risulta più attuale di allora. Si motiva che definire il sionismo come impresa coloniale vuol dire negare e sradicare il diritto all’esistenza di Israele.
Il sionismo, nella sua prima evoluzione, si era imposto ed era stato riconosciuto come movimento anti-coloniale progressista. Poi, invece, l’ideologia anticolonialista ha sostituito la storia.
Scrive Bensoussan :

“Che cos’è la Palestina all’inizio del XX secolo? È una provincia dell’impero ottomano, non un’entità amministrativa a sé, una provincia divisa in più pezzetti attaccati a Beirut o a Damasco. […] Abbiamo a che fare con una storia atipica: la storia della presenza ebraica in Eretz Israel. […]
Il termine ‘Palestina’ non esisteva nel mondo ebraico. Il termine ‘Palestina’ che proviene dai Filistei, cioè gli abitanti che vengono dalla regione che oggi chiamiamo Striscia di Gaza, è stato introdotto per la prima volta dai Romani per giustificare la degiudaizzazione della provincia dopo la rivolta ebraica contro Roma.”

Dunque, nella vita ebraica il termine Palestina è un termine straniero.
A lato della grande diaspora iniziata già prima della distruzione del Tempio, era rimasta in Eretz Israel una presenza ebraica ininterrotta, alimentata da centinaia di Aliyot in diciotto secoli di storia. L’autore ricorda che Gerusalemme è sempre al centro della liturgia ebraica quotidiana, e che gli Ebrei della diaspora “sono abitati da questa terra”. In particolare, sotto il dominio islamico tra il XIII e il XX secolo, la vita per gli Ebrei “diviene sempre più dura e orripilante”. Ci sono importanti testimonianze cristiane: un monaco francese, Suriano, e il celebre scrittore Chateaubriand scrivono di ebrei trattati come cani, calpestati, picchiati e tormentati, oggetto di ogni forma di disprezzo.

La “dhimmitudine” degli ebrei è un sistema di grave umiliazione quotidiana.
“Questa umiliazione dell’Ebreo è un sistema codificato: non si tratta di sadismo comune, ma di sistema perfettamente organizzato e antropologicamente voluto. Questa condizione dell’Ebreo ‘dominato’ è la condizione di ‘colonizzato’ nel senso classico del termine, cioè l’individuo ebreo viene dominato nella sua vita quotidiana per via dell’umiliazione che gli si fa subire tutti i giorni, assieme alla paura.”

Dunque, gli islamici si comportano da colonialisti brutali, e gli ebrei sono colonizzati a livello infimo. Per l’Islam, le terre conquistate devono restare musulmane per l’eternità. La Terra di Israele deve essere eternamente islamica e mai essere concessa “alla peggiore delle creature”.
Ma comincerà nella vecchia comunità ebraica di Eretz Israel (chiamata il vecchio Yishuv) una forte rinascita nazionale intorno alla rinascita della lingua ebraica, un vero miracolo unico al mondo. La lingua parlata diventa il cuore del Risorgimento Ebraico. Così si realizza la forma più tipica di una rinascita nazionale autentica: nascono diverse scuole ebraiche prima della stessa Dichiarazione Balfour (1917). “Si compie un errore quando si dice che lo Stato di Israele nacque il 14 maggio 1948, perché si parla della rinascita, non della nascita della nazione ebraica nel XX secolo. Nel 1948 assistiamo dunque alla rinascita e all’indipendenza ebraica in una terra che ha sempre parlato ebraico.”

La volontà e il comportamento degli Ebrei che ritornano nella loro Terra storica, sognata, agognata, amata da millenni, è espressione visibile di anti-colonialismo. Questi pionieri sono perlopiù socialisti, “vogliono creare un cammino nazionale agli antipodi di un’impresa coloniale”. Gli ebrei vennero accusati di rubare la terra agli arabi, ma si tratta invece di un ordine contrattuale di acquisti, e in una piccola misura. Anzi le terre sono acquistate due volte, prima in in modo legale dai grandi proprietari assenteisti, poi spesso gli imprenditori ebrei pagavano, in particolare il Kerem Kayemet, i contadini e gli operai arabi per farli andare via e permettere loro di trovare un’altra sistemazione.
Poi appare un urto culturale: l’iniziativa ebraica è molto moderna, secolarizzata, con una marcata emancipazione femminile, di fronte a un tradizionalismo arabo chiuso, con una inferiorità femminile in una vita nascosta. Ma lo shock arabo più forte è assistere ad Ebrei che non hanno paura, ed osano difendersi se attaccati. Poi accade che quando l’emigrazione ebraica si fa più intensa, tra il 1890 e il 1910, e la presenza ebraica si estende, “si constata che ogni insediamento ebraico è causa di una forte immigrazione di manodopera ebraica in cerca di lavoro. Questo significa, ed è questo il paradosso del sionismo degli inizi, che il sionismo favorisce l’immigrazione araba che raddoppia nel XIX secolo.” Inoltre, esiste un altro tipo di immigrazione islamica, poco conosciuta: quella favorita dall’impero ottomano per arginare la presenza cristiana ed araba, perché il potere turco è fortemente anti-arabo e dunque favorisce l’immigrazione di musulmani non-arabi da Bulgaria, Albania e Romania. Poi un’altra immigrazione misconosciuta: arabi marocchini e algerini al seguito di Abd El-Kader, l’emiro sconfitto dai francesi nel 1850.
Ancora sull’atteggiamento coloniale arabo:

“Voglio affrontare un ultimo punto sulla questione dell’atteggiamento ‘coloniale’ che gli ebrei avrebbero avuto sugli arabi della regione. Potremmo porci la seguente domanda: non è forse il contrario? Come disse alcuni anni fa Nathan Weinstock, lo sguardo coloniale è semmai quello degli arabi verso gli ebrei, perché gli ebrei erano visti dagli arabi come dei cani. E non dico la parola ‘cane’ a caso, ma perché è una parola ricorrente nella retorica araba dell’epoca.”

La realtà de-colonizzatrice del sionismo si mostra proprio nei coloni che chiedono il permesso di stabilirsi nel territorio, che rinascono in una terra cruciale per la loro identità religiosa-nazionale; il sionismo si scontra con il vero potere coloniale, l’impero turco. “Sono semmai i turchi i colonialisti, non gli ebrei. In secondo luogo, gli ebrei non espropriano proprio nessuno, al contrario acquistano una proporzione molto piccola della superficie agricola della Palestina.” Sono gli ebrei stessi a coltivare la terra.
La rinascita nazionale sionista è identica ad altri movimenti nazionali contro l’impero ottomano, come l’antica nazione greca che risorge intorno a una lingua, la lingua greca modernizzata che è diversa dalla lingua dei poemi omerici, ma ha la sua matrice nella lingua greca classica, così come l’ebraico moderno ha la sua radice nell’ebraico biblico.

Il sionismo è una rivolta del colonizzato ebreo contro i colonizzatori, che sono la dominazione turca e la dominazione araba sugli ebrei.
La decolonizzazione sionista è un movimento di liberazione dalla concezione araba dell’ebreo sottomesso e disprezzato:
“Ed è questa visione profondamente coloniale dell’arabo sull’ebreo che il sionismo andrà a spezzare, ed è questo che il mondo arabo non riesce a sopportare: non può sopportare la liberazione psicologica dell’ebreo, questa decolonizzazione psicologica del soggetto ebreo.”
Inoltre, il mondo arabo ha ignorato l’illuminismo “nonostante il tentativo della famosa Nahda del XX secolo.” Cioè gli arabi sono completamente estranei al concetto di alterità, idea occidentale di matrice illuminista, e al concetto di coscienza individuale del singolo contro il gruppo, idee fondative della realtà democratica. “Per il mondo arabo l’alterità ebrea- o l’alterità occidentale in generale – non ha alcun significato, ancor meno quando si tratta degli ebrei, l’essere più infimo al mondo.” L’ebraismo ha al cuore del suo pensiero il riconoscimento dell’alterità, come mostrano tanti suoi pensatori, soprattutto Emmanuel Lévinas che elabora ad alto livello un pensiero focalizzato proprio sul “volto dell’altro”, come mostra anche l’impegno ebreo nel dialogo con i cristiani e la cultura secolare del Novecento.
Per l’arabo l’ebreo è l’essere della paura e della sottomissione, l’eterno colonizzato: da qui il trauma davanti al nuovo ebreo che fonda la sua condotta sul principio talmudico: “Chiunque mi vuole uccidere, io lo ucciderò per primo.” Fondamento sacrale e laico del sionismo anticoloniale. Questo è il nodo della questione, le controversie territoriali sono irrilevanti.

La criminalizzazione di Israele come paese colonialista inizia come costruzione della guerra ideologica del potere totalitario sovietico, e arriva poi al fanatismo della cultura woke, in particolare dei suoi “studi post-coloniali” per i quali l’intera storia occidentale viene appiattita sul colonialismo. Queste idiozie e nefandezze sono state descritte con tagliente stile critico dai vari Douglas Murray, Federico Rampini, Giulio Meotti, Fuamma Nirenstein. Mentre l’attuale colonialismo brutale di Cina, Russia e Iran viene ignorato, assolto, giustificato. Così Israele, il paese che è il più antifascista e anticoloniale del mondo, in modo naturale e spontaneo, viene descritto come il suo rovescio.

Molte analisi, riflessioni, prove empiriche ci dicono che l’antisionismo-antisemitismo massiccio e violento in atto è un movimento reazionario, primitivo e barbaro, contrassegnato dalla mistica fascista della morte, dall’eredità-continuità totalitaria con il nazismo e il comunismo, dall’essere espressione diretta del totalitarismo islamico e del suo terrore genocida.
Quanto basta ad incoraggiarci per valorizzare, a viso aperto e con ferma sfida, il sionismo e l’ebraismo per la loro civiltà specifica e per la loro universalità di libertà e democrazia.

Come ama dire Fiamma Nirenstein: “Non dobbiamo essere tristi, ma battagliare”.

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