I primi dettagli sull’operazione militare che fa di quello israeliano il più potente esercito al mondo

di Giuseppe Crimaldi e Ilan Brauner

Israele vinse una guerra lampo contro l’Egitto di Nasser grazie all’aviazione. Era il 5 giugno 1967 quando il governo di Gerusalemme decise di sferrare l’attacco, protrattosi poi fino al 10 giugno successivo. I jet russi di Nasser vennero polverizzati, paralizzando di fatto ogni possibile reazione militare del raìs.

La notte scorsa, se possibile, Israele è riuscita anche a superare l’impresa del 1967. Oltre 100 aerei militari di ogni tipo e categoria hanno solcato in due diverse ondate i cieli di tutto il Medio Oriente bombardando siti militari a Teheran, Isfahan, Tabriz e in aree del Khuzestan, cioè praticamente dal nord al centrosud iraniano. E’ stata un’azione militare chirurgica, perfetta, che ha colpito solo obiettivi militari, come ha precisato il portavoce Idf, l’ammiraglio Hagari, che ha definito i bombardamenti “precisi e micidiali” su fabbriche di missili, magazzini e campi militari, radar e batterie antiaereo di missili russi S300 e forse anche S400.

Ecco perché ieri gli shofar delle preghiere e della guerra hanno suonato in tutta Israele, compreso nei kibbutzim laici, dove tutti hanno aperto le loro porte per invocare la divina benedizione: “Andate e vincete i vostri nemici”.

Israele ha scelto anche il nome dell’operazione appena conclusa: non a caso, «Giorni del pentimento» con quasi 100 velivoli di diverso tipo (non solo gli «incursori») contro una ventina di target raggiunti in ondate successive. La prima, iniziata attorno alle 2.30, si è dedicata alle postazioni anti-aeree degli S-300 (concezione russa) e ai radar per creare un corridoio. La seconda e la terza hanno preso di mira installazioni militari, fabbriche belliche e centri di ricerca per la messa a punto di velivoli senza pilota o di sistemi a lungo raggio (a Parkin), come l’impianto per la produzione di combustibile per i missili. Segmento importante per la «catena» delle forniture di vettori. Per rimpiazzarlo serve tempo. Almeno tre le province coinvolte: Teheran (sobborghi), Ilam e il Khuzestan.

Altri strike avrebbero riguardato posizioni nel centro e nel sud della Siria, anche in questo caso per eliminare possibili minacce alla manovra. Nelle stesse ore sono state segnalate deflagrazioni in Iraq, episodi spiegati in una doppia chiave: possibili attacchi su strutture usate dalle milizie sciite e/o il «bang» dei jet. È stato ipotizzato che l’aviazione abbia utilizzato una rotta d’avvicinamento «centrale» che avrebbe coinvolto la parte meridionale del territorio siriano e quello iracheno. Ma siamo ancora nel campo di speculazioni, con notizie imperfette.

I MEZZI
Per attuare il piano Tel Aviv aveva mobilitato caccia F15, F16 e F35, di solito schierati in almeno tre «piste»: Hatzerim, Ovda e Nevatim. Aerei dotati di sistemi a lungo raggio – ad esempio i Rocks e i Blue Sparrow – che possono essere sparati restando molto lontani dalle difese nemiche. Non è chiaro per ora quali. Inoltre, c’è stato un impiego intenso della ricognizione, con il ricorso ai satelliti e ai droni, compresi quelli «civetta» per confondere il nemico. Grande lo sforzo logistico per i rifornitori in volo. Indispensabili gli strumenti dei velivoli G550, per l’attività «elettronica» e per coordinare l’attività.

Per attuare il piano Tel Aviv aveva mobilitato caccia F15, F16 e F35, di solito schierati in almeno tre «piste»: Hatzerim, Ovda e Nevatim. Aerei dotati di sistemi a lungo raggio – ad esempio i Rocks e i Blue Sparrow – che possono volare restando molto lontani dalle difese nemiche. Indispensabili gli strumenti dei velivoli G550, per l’attività «elettronica» e per coordinare l’attività. Interessante una frase nel comunicato dello Stato Maggiore israeliano: precisa che sono state usate solo alcune delle «capacità» a disposizione. Un riferimento ad altri mezzi tenuti in riserva nel caso ci fosse un’azione contro il network del programma nucleare iraniano.

Secondo il sito Axios il governo Netanyahu ha avvisato Teheran di quello che stava per accadere usando un paese terzo, un comunicazione per cercare di delimitare lo scontro e mettere in guardia su altre conseguenze se gli ayatollah dovessero reagire in modo esteso. Un altro «allarme», sostiene Sky News Arabia, sarebbe stato dato da Mosca con un messaggio agli ayatollah.

L’attesa è stata preceduta dall’arrivo in Israele di altri caccia americani, come una formazione di F 16 atterrata venerdì, e del Thaad, un sistema antimissile sofisticato. Un ponte aereo di cargo C17 in partenza dagli Stati Uniti ha raggiunto una base nel Negev ed ha scaricato la preziosa batteria poi rischierata nelle vicinanze del sito «segreto» 512, perno di una rete di sorveglianza con diramazioni in tutto il Medio Oriente. Washington, d’intesa con Tel Aviv nonostante le apparenti tensioni, ha voluto rinforzare lo scudo in previsione di possibili bombardamenti con vettori balistici da parte dei pasdaran. Nelle ultime settimane l’Asse della resistenza coordinato dall’Iran ha dimostrato di poter comunque superare l’ombrello israeliano.
Alcuni missili hanno raggiunto le basi dei caccia mentre droni-kamikaze degli Hezbollah hanno fatto danni in una caserma e sono riusciti a raggiungere persino la residenza di Netanyahu a Cesarea, lungo la costa. Un mix di ritorsioni per le bombe su Beirut ma anche i test per i propri equipaggiamenti. Lo scenario è sempre quello di ondate di “proiettili” (razzi, velivoli senza pilota) che saturano le protezioni messe in atto dall’IDF, «sciami» in arrivo da più direzioni grazie al coinvolgimento simultaneo di militanti – che hanno a disposizione mezzi sufficienti – e iraniani.

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